Per chi come me, in questo caso di professione psicologa, che ha avuto la fortuna di vedere “L’uomo dal fiore in bocca” interpretato da Valerio Santi e Concetto Venti nella versione e regia di Valerio Santi in un ambiente di un bagno abbandonato e consunto di periferia dove in 45 minuti ha assaporato un’intensa seduta psicanalitica. Il testo di Pirandello è del 1922/23 dove lo stesso è stato influenzato dalle opere di Freud, ricordiamo che Pirandello aveva studiato in Germania e si era laureato in Filologia romanza “Studio il tedesco perché è vergogna massima non conoscerlo” già nel 1891. È probabile che Pirandello avesse letto in lingua originale i testi dell’epoca.
Quando Freud uscì con il saggio “Al di là del Principio del Piacere” del 1920, Pirandello aveva già internato la moglie Maria Antonietta Portulano, che “era ammalata di nervi” come si diceva all’epoca, come la figlia dell’avventore nella piece di cui stiamo parlando, “pericolosa per sé e per gli altri” la moglie di Pirandello che lo aspettò una mattina accanto al suo letto con un coltello.
Ma tornando alla spiegazione psicanalitica del testo dove viene così riscoperta l’assoluta importanza della vita come antidoto essenziale per esorcizzare la paura stessa della morte. Per essere in linea con questa interpretazione Pirandello aspetta anche l’altra opera di Freud “L’Io e l’Es” che stranamente pubblicata nel1922/23 spinge Pirandello a recuperare una vecchia novella “La morte addosso”.
Quando Freud individua le tre istanze dell’apparato psichico Io, Es e Super Io, Pirandello rimodula “L’uomo dal fiore in bocca”: l’Io viene rappresentato sia da Valerio Santi (l’uomo con il fiore, il cancro “dolcissimo dal nome di fiore epitelioma”) e sia da Concetto Venti che diventa il suo doppio: un essere assoggettato dalla famiglia privato dalla possibilità di fumare una sigaretta, che assaporiamo insieme a lui sul palcoscenico quando il suo doppio cioè Valerio gli dà il permesso…
Allora se l’avventore Concetto Venti diventa l’Io e quindi si identifica come doppio anche in Valerio Santi, il fiore in bocca diventa l’Es che Freud usa per indicare quanto nel nostro essere è impersonale, estraneo all’Io. Con il termine Es, Freud indicò non più unicamente il luogo delle rappresentazioni rimosse, ma una sorta di serbatoio dell’energia psichica e delle pulsioni inconsce, in parte ereditate per via genetica, in parte acquisite con l’esperienza e poi rimosse. Può essere inteso come lo spazio dove si formano le nostre potenzialità espressive.
Noi non sappiamo niente “dell’uomo dal fiore in bocca” prima della sua tragedia: sappiamo solo che lui diventa la sua malattia e tramite la sua malattia si esprime e coglie aspetti del mondo che prima gli erano estranei come “la vita degli altri”.
L’Es è “investimento pulsionale che esige una scarica: non c’è altro”. L’Es è analogo all’inconscio, solo che l’inconscio viene da questo momento citato più come il luogo del rimosso, mentre l’Es è il luogo dove risiedono tutti gli influssi del passato, ciò che l’individuo ha ereditato.
Mentre l’inconscio si oppone al conscio, l’Es, in questa seconda topica, si oppone all’Io. L’Es è retto dal principio del piacere. Il piacere della sigaretta: l’Io cerca di domare il cavallo dell’Es ma inevitabilmente ne viene domato!!! Così l’istanza del Super-Io è una formazione in gran parte inconscia, che si contrappone all’Io e lo giudica criticamente. È la coscienza morale una sorta di giudice interno, che regola il comportamento messo in atto dall’Io attraverso una serie di valori, dogmi, precetti, censure, sensi di colpa. L’incontro di questi due esseri così strani e così bene interpretati ci fa presagire un’intimità selettiva dei due attori che come dicevamo si evolvono: infatti Concetto Venti dopo essere stato lo specchio dell’Io di Valerio Santi diventa il Super-Io affetto da normopatia, una sorta di patologia di colui che per sopravvivere deve eseguire le regole fino alla paranoia “del piccolo borghese dal cattivo gusto”
e l’Io ribelle dell’uomo dal fiore in bocca (Valerio Santi) che sovverte le regole nella sua psicopatia maniacale data dall’osservazione futile della vita reale oggettiva financo a diventare la carta da regalo con cui il commesso impacchetta i regali. Come il Principio di Piacere si trasforma in Principio di Realtà si evince da tutta la piece teatrale: “Che mani! Un bel foglio grande di carta doppia, rossa, levigata… ch’è per sé stessa un piacere vederla… cosí liscia, che uno ci metterebbe la faccia per sentirne la fresca carezza… La stendono sul banco e poi con garbo disinvolto vi collocano su, in mezzo, la stoffa lieve, ben piegata. Levano prima da sotto, col dorso della mano, un lembo; poi, da sopra, vi abbassano l’altro e ci fanno anche, con svelta grazia, una rimboccaturina, come un di piú per amore dell’arte; poi ripiegano da un lato e dall’altro a triangolo e cacciano sotto le due punte; allungano una mano alla scatola dello spago; tirano per farne scorrere quanto basta a legare l’involto, e legano cosí rapidamente, che lei non ha neanche il tempo d’ammirar la loro bravura, che già si vede presentare il pacco col cappio pronto a introdurvi il dito”. Dal testo di Luigi Pirandello.
Basta inserire questa chiave di lettura e continuamente ci si ritrova a ribaltare normalità e follia, realtà e piacere, estraneità e intimità, procrastinazione ed emergenza, così come da copione l’uomo dal fiore in bocca dice all’avventore “voi siete un uomo pacifico” che sottintende io sono “un uomo guerriero” talmente guerriero che mi faccio guerra da solo in maniera implosiva dove la mia collera arde qui nei bagni dove l’acqua putrida il mio Es nascosto dovrebbe demolire il mio male…invece prima di morire io voglio disseminare il dubbio, la demonia, la dannazione…
Così il momento dell’omicidio suicidio che resta sospeso impantanandosi ancora una volta nella melma del sottosuolo tra ignavia e coraggio: così come sono gli eroi pirandelliani protagonisti di un futuro distopico con scarsa memoria del passato. Le splendide foto sono di Giovanna Mangiù.