Vocifero audioracconti: Chiaro di luna di Guy de Maupassant

Voci narranti Graziana Maniscalco e Sara Emmolo regia sonora Giuseppe Romeo note a cura di Nino Romeo e Susanna Basile

Da una collaborazione col prestigioso Centro Teatrale Siciliano nella persona di Nino romeo, Graziana Maniscalco e Giuseppe Romeo. Inizieremo col pubblicare i racconti di Guy de Maupassant.

“L’esperienza acquisita e i numerosi ascolti ottenuti da Vocifero audioracconti ci hanno spinti a progettare, curare, produrre e, ora, a pubblicare questo podcast dedicato alle novelle di Guy de Maupassant che riprende i caratteri editoriali di Vocifero: cura tecnica delle registrazioni; studio approfondito dei materiali; preparazione degli interpreti; tessitura sonora creata appositamente per ciascun audioracconto. Il nostro Maupassant, quello che per decenni abbiamo letto e riletto, biascicato in solitario o ad alta voce in pubblico, pretende una collocazione monografica.

“Una vita” romanzo di Maupassant

CHIARO DI LUNA (1882) Clair de lune di Guy de Maupassant interpreti Sara Emmolo e Graziana Maniscalco regia Graziana Maniscalco regia sonora Giuseppe Romeo. “Una donna rivela alla sorella di aver tradito il marito con uno sconosciuto in una notte di luna piena”.
Nota a cura di Nino Romeo
Col tempo, Maupassant giungerà ad articolazioni raffinate e complesse, soprattutto per quanto riguarda la struttura in cui inserisce il racconto centrale (v. note a La Signorina Cocotte e a Cameriere, una birra!).  In Chiaro di luna la cornice è ancora essenziale: l’incontro tra due sorelle dà l’avvio al racconto; ma, nelle poche battute iniziali, Maupassant ci rende l’atmosfera di trepidazione che farà da basso continuo al racconto e che ha lasciato un segno indelebile tra i capelli della narratrice: due ciocche imbiancatesi in pochi giorni.   Ma l’attesa della sorella minore -e di noi lettori- è subito troncata dalla rivelazione dell’adulterio da parte della sorella maggiore che, subito dopo, si fa narratrice. Diversamente da come farà in seguito, quando elaborerà congegni narrativi articolati e sofisticati, il Narratore esterno Maupassant vuole entrare in argomento senza indugi: ciò che gli preme è percorrere, passo dopo passo, i turbamenti, gli sbocchi di sensualità repressa e insoddisfatta; e, poi, gli incanti della natura al chiarore della luna. Al colmo della passione, spinta da un’eccitazione tenue, all’apparenza, ma irrefrenabile, ormai consapevole delle sue pulsioni, si abbandonerà tra le braccia di uno sconosciuto, raggiungendo la meta finale (e non più negata) dei suoi tumulti sessuali. Maupassant, misogino dichiarato, rude con le donne sino al disprezzo, quando si fa autore di racconti ‘al femminile’, tratta le sue protagoniste con una delicatezza d’animo e narrativa che sono da ascrivere alla sua sensibilità nascosta e, in parte, degli esempi letterari del maestro Flaubert. Il “non si sa come” (per citare il titolo di una novella e di un dramma di Luigi Pirandello con uguale argomento ma con protagonista maschile) con cui la narratrice conclude il suo racconto apre al mistero dell’animo femminile che irretisce e sorprende costantemente l’autore Maupassant.

Claude Debussy al piano dedicato alla colonna sonora dell’audio racconto “Chiaro di luna”

Nota a cura di Susanna Basile psicologa
L’illuminazione lunare di Henriette
Perché dovremmo essere d’accordo e dare approvazione alle cose che si sono realizzate e non alle cose che sono rimaste solo nel regno della possibilità? Quello che è successo ad Henriette è un tipico “tormento femminile” raccontato da un fine “ascoltatore di donne” qual è Maupassant.
Sono attraenti le cose non realizzate, sia quelle del futuro che quelle passate: è meglio avere rimorsi che rimpianti. Quando si tocca il culmine della separazione fra realtà e possibilità il rimorso diventa un’oasi dove poter riposare un’anima in pena.
Henriette si sente estranea alla vita precedente, la persona che era, fino a poco prima, le appare come una sconosciuta: scopre così il passato, cioè uno spazio mentale, dove la sua gioia, la sua meraviglia, il suo stupore, risiede. Ma cosa è mutato, si chiede? Oppure basta il ricordo: “ieri ho fatto questo o quest’altro”, in qualsiasi istante siamo sempre sull’orlo di un abisso, che non si conosce di cui si impallidisce alla vista.  La differenza è che non ci si pensa: mai!

“Notte stellata” Van Gogh

Così pervasa “dall’ illuminazione lunare”, improvvisamente Henriette, intravede la sua essenza dominata dall’incomprensibile, come un continuo tradimento che commettiamo su noi stesse in quanto “donne”, senza sapere perché, vivendo per un istante solo, e subito dopo, in un attimo soltanto: “morire”.  Questo ciclo si ripete in ogni istante con la nascita-morte e ci trasforma in un Io in divenire: differente tra forma e contenuto. Anche l’unione col marito sulla definizione della stessa Henriette: “con la sua placida indifferenza, paralizzava i miei slanci, soffocava i miei entusiasmi”, questa unione viene dichiarata implicitamente, come effimera ed inconsistente, priva di alcuna necessità. Si definisce così la causalità della realtà. È stato un caso per Henriette l’aver vissuto con quel marito e solo il caso l’avrebbe immessa in un’altra vita con l’amante: nessuna necessità ha definito la sua vita, ed un modo diverso di vivere, lontano da quello realizzato, se non avesse conosciuto l’attuale marito.

Claude Debussy giacca bianca al centro della foto

“Alla luce della Luna” la sua unione col marito le appare inconsistente, fluida, casuale, effimera, irreale, sospesa: essendo le cose staccate da lei, vede all’esterno il rispecchiarsi di quello che avviene al suo interno. L’abbellimento romantico di quello che sta fuori di noi, si scontra o coincide col sentimento che sta in noi. Henriette vorrebbe staccarsi dalla realtà che le ha creato il marito: lui l’ha creata così, lei, è nella mente di lui. Quando lui lascia la presa, la lascia andare altrove, la sua creazione diventa evanescente. Non avendo più il riferimento alla realtà, Henriette si affaccia smarrita e bramosa verso l’abisso vuoto di un’altra vita immaginaria.

Così dove regna un’altra vita immaginaria, emerge la possibilità, ovvero la vertigine del vuoto. L’individualità è scomparsa, Henriette si è lanciata nel vuoto senza argini: solo l’individuo può avere limiti, un’entità senza contorni fluttua come spirito. Per questo motivo l’attimo presente è solitudine, finito il contatto con la realtà, si smarrisce l’identità-individualità, si oltrepassano i limiti e ci si perde in una atmosfera inesistente. Solo l’Io riesce a fissare ogni attimo e dare correlazione con gli agli altri attimi: altrimenti l’attimo in sé rimane solitario, irresponsabile, privo di uno scopo.

Un giovane Debussy

Lo “scambio amoroso” a senso unico col marito appartiene alla realtà effimera, che ora lei, dalla visuale connessa alla vertigine del vuoto, può dichiarare un’immaginaria forma di verità. La vera fusione non può essere rappresentata da eventi, né da concatenazioni, non emerge, non ha scopi, né giustificazioni: ma allora la vera fusione avviene nella vertigine del vuoto?

“Quanto avrei desiderato, a volte, che mi avesse stretto improvvisamente tra le braccia e m’avesse dato uno di quei baci lenti e dolci che confondono insieme due persone, che sono come confidenze silenziose” dice Henriette alla sorella. La sua immersione nel regno della possibilità è un travaglio drammatico, che non abbandona il suo Io reale, o meglio essa vive come scissa in due regni incommensurabili, e non decide per l’uno o per l’altro, ma nemmeno potrebbe fare questa scelta: ogni Io è tale solo se è reale e la via verso il vuoto è solo una aspirazione, finché non si approda al misticismo dell’unione sacra: come ci si può concedere a tutti gli uomini, pur appartenendo ad uno solo?

L’abbraccio Egon Schiele

In fondo l’amante è solo un “oggetto”, per irrompere nel regno della possibilità, e perdere il proprio Io. Il tradimento commesso, è impersonale, non perpetrato da Henriette-realtà, ma viene consumato da Henriette-possibilità, come un effimero spirito inondato da bellezza e passione, sgretolamento nel tutto immobile e fuori del tempo, dove lei non è diversa dagli elementi che contempla: “La luna, tonda tonda, pompeggiava nel bel mezzo del cielo; le alte montagne con le loro nevi parevano incappucciate d’argento; l’acqua, tutta marezzata, era percorsa da lievi brividi lucenti. L’aria era dolce, di quel tepore penetrante che ci illanguidisce fino a farci mancare, ci commuove senza motivo”. Dicevamo dunque il misticismo, qui inteso come “unio mystica” e unio ierogamica: nel rapporto tra Henriette e il suo amante assistiamo alla scomparsa dell’angosciante dialettica fra realtà e possibilità. Tra possibilità e realtà esiste uno iato dove non c’erano individui ma si era nel tutto: non sei separato dalle cose, e quindi tu sei Dio e tutte le cose, perché non esiste un Dio separato da te. Nella possibilità ci si percepisce ancora individui, seppur immobilizzati nel regno infinito di infinite soluzioni. La possibilità si paralizza nell’immobilità, ma è una immobilità che ci angoscia perché resta l’individuo immobilizzato. Mentre nella realtà l’individuo è formato dai suoi limiti, nella possibilità Henriette è come tratteggiata in una sorta di, autorepressione che non la dilegua, dove palesa sofferenza per non potersi esprimere. Ecco trovato il significato della precoce canizie alle tempie di una giovane Henriette. Sarà costretta ancora a “peccare” per soddisfare l’ambizione individuale della possibilità o a reprimersi in un eccesso di realtà?
Ma a cosa serve tutto questo affannarsi se l’esperienza, come dicono gli orientali e solo una Maya, un’illusione e in realtà non ci siamo mai mossi per ritornare ad un tutto di possibilità?

 

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