Dopo un’entusiasmante introduzione del direttore Fabrizio Carrera della rivista online Cronache di gusto si apre l’inaugurazione de Le Contrade dell’Etna XIII edizione ampiamente documentata dai nostri articoli su Siciliareport:
Su questo magazine vi vorremmo raccontare altri aspetti connotati da impressioni di ricerca ancorché “profana”, che deliano a volte il carattere “bizzarro” della nostra sicilianità pronta all’accoglienza di qualsiasi esperienza che riguarda la “nostra terra” e di quello che succede nella trama e nella sottotrama del nostro vino come prodotto finito, del nostro terroir (cioè del rapporto che lega un vitigno al microclima e alle caratteristiche minerali del suolo in cui è coltivato e determina il carattere e l’unicità del vino che viene prodotto) e del nostro cru (cioè una zona delimitata, produttrice esclusiva di un determinato tipo di vino pregiato). E tutto questo ambaradan “politico”, inteso come polis ed etica da estendere per tutte le nostre produzioni di eccellenza, che eccellono per la conduzione di eccellenza ed accoglienza ma che difettano nella conoscenza ed informazione nell’ambito dell’esportazione nazionale ed estera.
Secondo il detto: Se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai insieme, ascoltiamo il video del prof. Attilio Scienza alla domanda sul futuro dei vini siciliani: “Sono quarant’anni che bazzico la Sicilia a diversi livelli di lavoro ricerca delle varietà antiche, cloni di vitigni ecc. Quando sono sceso all’epoca la Sicilia faceva solo “vini sfusi”, da imbottigliare al Nord. In questi anni la Sicilia ha assunto un’identità, le sue capacità enormi di dimostrare le sue capacità ambientali e umane. A questo punto bisogna fare un salto di qualità bisogna riuscire mettere a regime tutto ciò che è stato fatto in questi quaranta anni. Quello che manca è la capacità di fare squadra. Quando i siciliani riusciranno ad utilizzare tutte le risorse compreso la storia, che è un grande tesoro, e questo tesoro va venduto, va reso “materiale” non solo immaginario, allora la Sicilia farà veramente quel salto di qualità nel panorama mondiale del vino. Ha tutto quello che serve vitigni, suoli, climi: ha uomini!!! Quello che manca è una grande alleanza, una grande alleanza per il vino siciliano”.
Poi la sua lectio magistralis corroborata da una serie di slide preziose per chi come me ha sviluppato storia, filosofia, psicologia, gusto e olfatto insieme, in una ricerca infinita istintiva e cognitiva. Il prof. Scienza continua raccontando come gli siano mancati in questi tre anni i luoghi e gli uomini della Sicilia, e ci racconta chi siamo: chissà perché devono essere sempre degli “stranieri” a farci sapere chi siamo. Vi potrei fare una carrellata di storici della Sicilia di cui almeno il 90% non è siciliano, a maggior ragione ascoltare miti, storia, terreni, vitigni e climi dal professor Scienza, che mi racconta che ha studiato a Piacenza, ma che la sua famiglia era veneziana di origine ebrea…ecco questa affermazione mi fa tornare in mente quello che ha detto prima: abbiamo sempre bisogno dello “straniero”, il super partes o l’erga omnes che non ci faccia litigare in inter partes e che ci dia una pacca sulla spalla come il buon padre di famiglia sull’eccellente lavoro svolto.
La XIII edizione del Le Contrade dell’Etna è dedicata ad Andrea Franchetti, filosofo del vino, che è venuto a mancare qualche anno fa. Perché è stato lui che nel 2000, visitando la Sicilia, ebbe un amore a prima vista con l’Etna, restaurando un antico baglio con cantina a Passopisciaro, creando una rete di intenditori di sua conoscenza e “inventandosi” così la manifestazione.
Andrea Franchetti ebbe a dire: “La Sicilia è il nostro Oriente ed è bene che ci sia un vino così chiaro, grasso, complesso e cosmico”. Lui aveva avuto un’esperienza in Toscana con “Trinoro” che era stata un’esperienza solitaria in un luogo solitario mentre sull’Etna aveva avuto un’esperienza sociale. Sull’Etna aveva trovato 100 produttori che producevano in maniera entusiastica il vino, a Randazzo aveva sentito giovanissimi produttori parlare di terroir, e di cru e questi produttori randazzesi avevano la capacità economica per curare tutto l’indotto, ma come sempre non comunicavano in maniera “consortile” tra di loro. Cercò di recuperare dei vecchi vigneti di Nerello Mascalese insieme ad un gruppo di “nostalgici” pionieri fondando un rinascimento enologico della zona Etnea. Riconobbe il potenziale dei singoli terroir lavici composti da colate laviche distinte, introducendo e promuovendo il concetto dei vini di Contrada, sul modello dei cru di Borgogna. Tra i risultati conseguiti sull’Etna da Franchetti, oltre alla creazione dei vini di Contrada, fu così lo ribadiamo ancora una volta che nacque “Le Contrade dell’Etna”.
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E così il sindaco di Castiglione di Sicilia Antonio Camarda contento di ospitare la XIII edizione della manifestazione ci racconta: “Il mio comune è l’emblema della rivoluzione enoica che sta investendo tutta l’Etna. Nel comune sono presenti 43 contrade su un totale di 133. Siamo onorati di iniziare un percorso che valorizza il mondo del vino. Occorre creare un sistema che vede coinvolto il borgo storico di Castiglione con le sei frazioni e le sei realtà territoriali fortemente vocate a questa viticoltura di eccellenza tra l’altro all’interno del Comune sono presenti dei siti archeologici dei palmenti rupestri, le Gole dell’Alcantara, il vulcano Etna, chiese, monumenti: bisogna fare sistema tra i produttori e le amministrazioni pubbliche perché il vino è il presente e sarà il futuro dell’enoturismo”.
Nel Consorzio di Tutela dei Vini Etna D.O.C. ci racconta il presidente Cambria: “Con un filo di emozione riprendere il nostro lavoro scambiare idee con gli altri produttori, tanti produttori e piccoli produttori su oltre 380 il 40% si posiziona tra uno e due ettari e l’80% non è superiore ai cinque ettari, tante idee e tanti obiettivi da raggiungere, estrema è la frammentazione, ma è la nostra ricchezza e la bellezza di questo territorio in cui il consorzio è fondamentale. Il Consorzio ha ottenuto l’Erga Omnes dal Ministero dell’Agricoltura ovvero la riconoscibilità dei vini dell’Etna fino al 2024 come promozione del territorio e denominazione Etna doc.
Il Consorzio collabora con i vini doc dell’Alto Adige da esportare in Svizzera e Inghilterra e poi l’Etna days a settembre e la ricerca della mappatura delle contrade, le fasi fenologiche sui vari versanti dell’Etna, metodi e standard riconosciuti di tutti questi dati, la mappatura delle contrade zone sulle quali concentrarsi e da conoscere prima per noi stessi viticultori e poi da estendere e pubblicate per tutti. La conoscenza dei risultati è fondamentale: basti pensare che l’imbottigliamento del 2021 è stato superiore al 2019, cassando il 2020 come hanno terribile della pandemia, nel 2021 è aumentato il volume dei vini dell’Etna soprattutto col riferimento ai vini bianchi. Nonostante sia stato il Nerello ad essere più famoso ed esportato in tutto il mondo, i vini bianchi di grande eccellenza e di grande eleganza stanno guadagnando il favore dell’enologia mondiale”.
Il pomeriggio del 2 aprile è stato un tripudio di masterclass condotte quelle dei rosati e dei bianchi a cui ho partecipato da Federico Latteri, grande affabulatore che sa far viaggiare chi assaggia anche per la prima volta tra i vini, vigneti e i luoghi della varietà più ignota. In quello dei rosati ho avuto una compagna di eccezione al mio fianco la dott.ssa Mariuccia Sofia con cui ho condiviso la mia passione per la degustazione facendomi indirizzare per il naso e per il gusto da chi ne sapeva più di me.
Ho incontrato, Valeria Costanzo delle Cantine Palmento Costanzo che “imparava” nella masterclass gli altri vini dell’Etna, ho ritrovato Corrado Vassallo del Feudo Vagliasindi che stava appoggiato al muro vicino al marito di Valeria, Mimmo Costanzo e cercavano di capire dai nostri volti quelli degli “intenditori” com’erano i loro vini, sentori, gusti, emozioni, ricordi…nella masterclass dei bianchi ho impattato Seby Costanzo delle Cantine di Nessuno: avevo un nuovo compagno di banco un giornalista di settore con cui abbiamo scambiato i bigliettini da visita e nulla più! Ma quelli dietro di me un mio antico compagno di merende, famoso professore universitario in veste di degustatore e una sommelier d’eccezione mi hanno fatto scoprire cosa c’è dietro un calice di vino:
ancora una volta ho ribadito quello che ho scritto su un altro articolo a proposito del Nerello Mascalese delle antiche piante ad alberello presenti nella nostra terra fin dal 1500: “Ma un’ulteriore riflessione riguarda il Dio greco del vino Dioniso che si scontra con Bacco il dio romano del vino. Sono due personalità estremamente diverse nonostante le associazioni e vi spieghiamo il perché: Dioniso è il dio della vite, dell’ebbrezza, della libertà, della caparbietà, dell’intelligenza creativa della passione; Bacco è il dio del vino del divertimento, dell’ubriachezza molesta, della fame e della sete infinita, bagordi, baccanali, indecenze e turpitudini. Dionisiaci quindi sono i produttori e le produttrici in questo caso gli eroi ed eroine che continuano a credere in quello che fanno con tutte le difficoltà e le soddisfazioni è perché un Dioniso li protegge. Fosse stato per noi che siamo i Bacchici quelli che usufruiscono di questo nettare che i Dionisiaci coltivano per noi con tanta passione e dovizia, a quest’ora della vigna centenaria non era rimasta che la polvere. I Dionisiaci bevono per mettersi in contatto con la divinità che comunque possiedono, i Bacchici bevono alla ricerca della divinità per cercare di trovarla, e ne sono posseduti: i primi sono inebriati i secondi sono ubriachi, i primi sono gaudenti, i secondi sono dipendenti…dove sistemarvi scegliete voi!”