Le Cene Regionali a Piazza Scammacca sono un’esperienza sensoriale dove: vista, olfatto, gusto, udito, tatto e intuito, per chi non lo sa l’intuito è il sesto senso, vengono stimolati in maniera accogliente, genuina e raffinata.
Il connubio tra ONAV di Catania con Danilo Trapanotto delegato di Catania e Piazza Scammacca con lo chef Marco Falcone, che hanno immaginato “un luogo non luogo” come un pezzo di territorio della nostra penisola che “virtualmente” andiamo a trovare e conservare nel cuore e nei nostri sensi, perché il vino e il cibo passano dal cuore, perché sono anche ricordi, emozioni, immaginazioni.
Riportiamo brevemente parti dell’articolo che troverete su https://www.siciliareport.it/sicilian-food/le-cene-regionali-il-piemonte-tra-barbera-timorasso-croatina-fritto-misto-agnolotti-del-plin-e-vitel-tonne-a-cura-di-onav-catania-e-piazza-scammacca/ per avere un’introduzione mentre qui saranno approfondite un po’ di storia dei vini degustati e l’approfondimento dei piatti piemontesi.
Timorasso
Parliamo del vitigno Timorasso che abbiamo assaggiato in abbinamento con il Fritto Misto che nasce dalla macellazione in casa del quinto quarto con tutti gli scarti cuore, fegato, polmone, insieme a verdure frutta e i formaggi Tomino, Toma e Castelmagno e due salumi, la lingua cotta e la bresaola.
Si tratta del Timorasso 2022 Piccolo Derthona di Vigneti Massa dal colore paglierino, dall’odore di fiori di propoli, erbe aromatiche e roccia calda, dal sapore sapido, ampio, fresco e chiusura lievemente amarognola nasce da un vitigno autoctono a bacca bianca, è stato coltivato in provincia di Alessandria fin dall’antichità. Se ne hanno testimonianze già nel XIV secolo, nel Trattato di agronomia di Pietro de’ Crescenzi, e nel Bollettino Ampelografico del Di Rovasenda, del 1885. Il suo habitat naturale si trova sui Colli Tortonesi, nelle vallate Curone, Grue, Ossona e in Val Borbera, con terreni argillosi chiari in parte calcarei.
Non avendo grande adattabilità a condizioni climatiche tranne da quelle della regione di origine è stato lentamente abbandonato a favore delle uve a bacca rossa più produttive e meno delicate come la barbera e la croatina. Dopo la distruzione delle viti europee a causa della fillossera, le vigne di timorasso da altri vigneti, negli anni ’80 Walter Massa e altri coraggiosi e visionari vignaioli di Tortona, hanno deciso di riportarlo in vita. Vigneti Massa è una cantina a conduzione familiare, fondata dagli antenati Massa nel 1879. Oggi vanta un proprietà di 23 ettari sulle colline di Monleale, a circa 300 metri di altitudine, dove sono coltivati i vitigni più tipici del territorio.
Fritto Misto
Come piatto di recupero, preparato in ogni famiglia, il fritto misto alla piemontese si presentava ogni volta in modo diverso, con gli ingredienti che erano disponibili in quel particolare momento. Fettine di polpa e di fegato di vitello, le salsiccette di maiale, le costolettine d’agnello senz’osso, il semolino, gli amaretti, le mele e verdure come carciofi, finocchi e zucchine. Tra i vari pezzi di carne però, parti come le cervella, il fegato e le animelle non potevano mancare. A questi venivano aggiunte verdure, come zucchine, melanzane e carote, frutta, come le mele, oltre ad amaretti e semolino. Tutto naturalmente impanato e fritto.
Barbera
Secondo vino degustato Barbera 2020 Implicito di Vigneti Massa, dal colore rosso brillante con riflessi violacei si distinguono note olfattive floreali, bacche di nobile rusticità con sentori che spaziano dalle spezie al sottobosco, ai piccoli frutti rossi ed erbe aromatiche, leggero snello appagante di grande scorrevolezza con persistenza fruttata. La più antica attestazione risale al 1249 in un contratto d’affitto conservato presso l’archivio capitolare di Casale Monferrato dove si parla di viti barbesine.
Nel 1873 Leardi e Demaria in “Ampelografia della Provincia di Alessandria” (che allora comprendeva la provincia di Asti) dicono della Barbera: “È vitigno conosciutissimo ed una delle basi principali dei vini dell’Astigiano e del basso Monferrato, dove è indigeno e da lunghissimo tempo coltivato”. Si è diffusa rapidamente nell’Ottocento e nel Novecento, fino a venire considerato il principale vitigno a bacca nera del Piemonte. In Italia è presente soprattutto nelle colline di Astigiano, Langhe, Monferrato, in misura minore in tutto il territorio piemontese, in Lombardia, Emilia-Romagna, Campania e Puglia. In Europa esistono piccole aree a Barbera in Grecia, Romania e Slovenia; in Sud America è ampiamente coltivata in Argentina, Brasile, Cile e Uruguay; in Australia è giunta negli anni ’60 del XX secolo e si è largamente diffusa; Negli Stati Uniti è molto utilizzata in California, Washington e Arizona; i produttori sudafricani hanno iniziato nel XXI secolo a propagarla nelle zone più calde.
Agnolotti del Plin
Abbinato con gli Agnolotti del Plin, chiamati così per il pizzicotto che si dà per chiuderli, con un ripieno di parti meno nobili di carne e un brodo di ossa, dell’animale ci insegna la tradizione non si butta niente; vi diamo la ricetta per due persone, per la pasta: 100g di farina tipo 0 1 uovo ( piccolo) 1 tuorlo per il ripieno: 100 gr di carne macinata di vitello, 1 carota, 1 uovo (piccolo) parmigiano grattugiato (circa 3 cucchiai abbondanti) sale, pepe, burro vino bianco per sfumare. Impastare il composto sul piano infarinato fino a formare una palla soda e liscia fate riposare per mezz’ora (con una ciotola sopra). Nel frattempo cucinare il ripieno e fatelo raffreddare; stendete la pasta sistemare il ripieno non molto distante tra di loro, chiudere la sfoglia su se stessa e stringere facendo pressione con le dita vicino all’impasto. Usare un taglia pasta e tirare una linea continua, togliendo l’eccesso. Infine “plinnare” stringendo con le punte delle dita tra i due ravioli. Tagliare ogni raviolo e metterli su un vassoio spolverando di farina.
Brodo di ossa
Le ossa vanno prima tostate in forno per 15 minuti. Coprite completamente le ossa con l’acqua e aggiungete l’aceto di sidro di mele. L’aceto di sidro di mele aiuta a estrarre i nutrienti dalle ossa ed è quindi una parte indispensabile della ricetta. Lasciate che l’acqua raggiunga l’ebollizione, poi abbassate il fuoco e lasciate sobbollire tranquillamente. Schiumare regolarmente la schiuma che sale in superficie. Questo è un passaggio importante per ottenere un brodo limpido. Nel frattempo, pelare le carote e le cipolle, tagliare il sedano e tritare l’aglio. Dopo circa 2 ore, aggiungete le verdure tritate al brodo e lasciate cuocere ancora. Più a lungo il brodo sobbolle, più il sapore sarà ricco e intenso. Di solito si lascia sobbollire il brodo per un giorno intero.
Croatina
Il terzo vino Croatina 2013 Pertichetta di Vigneti Massa, dal colore rosso rubino, dall’odore intenso con note di frutta rossa matura, arricchiti da sentori speziati e di terra bagnata che risulta ampio e di grande struttura piacevolmente complesso e persistente. La croatina è un vitigno autoctono a bacca nera, presente soprattutto nell’Oltrepò Pavese e nel Piacentino, in misura minore in Piemonte e in Veneto. Il vino prodotto con questa uva ha un contenuto di polifenoli, in particolare tannini, molto elevato. Dall’uva della Croatina in purezza si ottengono vini di pronta beva, come la DOC Bonarda dell’Oltrepò Pavese nella versione ferma e vivace. Unendo la Croatina ad uve provenienti da altri vitigni (Barbera, Uva Rara), si ottengono vini quali la DOC Gutturnio nelle varie tipologie, il Buttafuoco dell’Oltrepò Pavese o la DOC Rosso Oltrepò Riserva. Le origini risalgono alla seconda metà dell’Ottocento. Ne parlano noti ampelografi, come Demaria e Leardi nel 1875, Di Rovasenda in un saggio del 1877 e Molon nel 1906. Il nome si ritiene etimologicamente legato alla val d’Arda, valle di confine tra le province Piacenza e di Parma, all’interno della zona dei Colli piacentini. Vi sono evidenze della cultura della vite nella zona sin dai tempi delle vestigia dell’Antica Roma. Si ritiene che nella zona di Rovescala, nell’Oltrepò Pavese, fosse presente sin dal Medioevo. La sua notevole resistenza all’oidio ne favorì la diffusione in tutto l’Oltrepò e nel Novarese, a scapito di vitigni di più eleganti e di qualità, ma più delicati alle avversità come la Vespolina, il Nebbiolo e la Moradella.
Vitel Tonnè
Abbinato con il Vitel Tonnè servito a parte con la salsa di capperi, tonno, acciughe e maionese e cotto a roast beef bassa temperatura lasciandolo rosato all’interno. Vitel tonnè non è francese: vitello in francese si dice veau, e tonnè (o tonnà) deriva dal francese tannè, che significa “conciato”. Quindi vitello tonnato non è una traduzione dal francese bensì dal piemontese. Addirittura, nella ricetta originaria il tonno non c’era proprio. La carne di vitello era appunto “conciata” con un trito di acciughe e capperi, mentre il tonno è stato aggiunto più avanti, nel tardo Ottocento, forse proprio per un malinteso o per un’attrazione derivata dal suo nome. Ad ogni modo, al di là del nome, la prima ricetta di vitello tonnato con tonno è datata 1891 e ha scriverla è stato Pellegrino Artusi nella sua “Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”. Il celebre gastronomo romagnolo consigliava “vitella di latte, nella coscia o nel culaccio”, condita con le acciughe e poi bollita “con due chiodi di garofani, una foglia d’alloro, sedano, carota e prezzemolo”. La carne andava poi tagliata a fette sottili e tenuta “in infusione un giorno o due” in una salsa a base di acciughe, tonno sott’olio, limone, olio e capperi. Nulla, ovviamente, si buttava: “Il brodo colatelo e servitevene per un risotto”. Descrive poi anche una preparazione “invernale” quindi calda, dove la carne va arrostita, affettata e servita con la salsa di cottura addensata e arricchita da succo di limone. In origine la maionese, usata per legare la salsa non era presente; è arrivata nel Novecento, quando si è diffusa anche la pratica di utilizzare il girello come taglio di carne (in origine si usavano i tagli meno pregiati, che venivano ammorbiditi con la preparazione).
Baci di Dama
Baci di Dama, due friabili cupolette alle mandorle unite da uno strato di cioccolato fondente una volta cotti vengono uniti a coppia, come due labbra serrate in un dolcissimo bacio. Per 40 biscotti: 150 g di farina 00, 150 g di mandorle spellate, 150 g di zucchero semolato, 150 g di burro freddo, cioccolato fondente qb. L’origine dei baci di dama risale alla metà dell’Ottocento, per quanto non sia certa la reale provenienza della ricetta. Secondo alcune fonti si tratta di pasticcini originari della città di Tortona, secondo altre fu inventata da un cuoco di casa Savoia. Sembra che Vittorio Emanuele II una sera avesse chiesto al cuoco un dolcetto diverso dal solito e poiché nella dispensa c’erano al momento solo mandorle, mandorle armelline (cioé le minuscole mandorle amare che costituiscono il seme interno al nocciolo di albicocca) nocciole, zucchero e burro, il pasticcere inventò per sua maestà questi biscottini. È importante che la temperatura del forno sia quella indicata, e cioè 140°. Altrettanto importante è rispettare scrupolosamente i tempi di riposo della pasta al freddo, soprattutto l’ora prevista in congelatore prima del passaggio in forno, altrimenti i biscotti si appiattiranno inesorabilmente, rendendo impossibile ottenere la classica forma del pasticcino finito.
Non ci resta che invitarvi alla prossima cena regionale su la Lombardia che si terrà il 12 marzo.
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