Il capitolo che affrontiamo oggi rappresenta, come giustamente dicevi, un ulteriore approfondimento del tema centrale della ricerca che Evola conduce in questo saggio del 1958 e rappresenta un livello di analisi più incentrata sulle dinamiche culturali in cui le forme della metafisica del sesso si incarnano. Evola, dopo aver passato in rassegna la tematica in alcune sezioni, su un piano puramente integralmente ontologico, metafisico, poi da un punto di vista fenomenologico, analizzando come la dimensione dell’ero sacro si sia coagulata in alcuni archetipi maschile e femminili, quindi passando dal piano dell’uno al quello della dualità e ad un livello della pluralità delle manifestazioni concrete di questi archetipi che non sono solo due, maschile e femminile, ma come abbiamo visto si declinano in varie tipologie e ancora dopo aver trattato nel quarto capitolo la simbolizzazione mitico-religiosa all’interno di divinità specifiche di questi archetipi, si trova in questa sezione a trattare di una serie di processi o di complessi culturali, sociali o rituali all’interno del quale questa dimensione della sacralità di Eros viene appunto sacralizzata ed evocata, ossia resa accessibile all’esperienza umana. Evola quindi cerca di analizzare in particolare come all’interno di una civiltà tradizionale, ossia premoderna e dominata dalla centralità del principio sacro e metafisico all’interno della strutturazione dell’esperienza dell’uomo, l’incontro con questi archetipi fosse reso possibile.
E qui Evola si pone in primo luogo un problema metodologico molto interessante e affrontato anche con un certo rigore storico-religioso, nella misura in cui Evola si chiede in che modo noi moderni, studiando le fonti di queste civiltà, possiamo interpretare le conoscenze che ci vengono trasmesse e comprendere in quali contesti, in quali processi queste esperienze fossero davvero autentiche e l’incontro con la trascendenza fosse davvero resa possibile dalle pratiche erotiche e invece le situazioni in cui si trattava semplicemente di una rappresentazione formale, allegorica, una dimensione limitata ad un’allusione formale estetica a questa dimensione. Evola nella sua prospettiva tradizionalista ovviamente era avvisa un processo di decadenza rispetto alla comprensione dell’uomo nel passaggio dalla civiltà tradizionale a quella moderna della possibilità di utilizzare fattivamente questi strumenti consegnati nel deposito tradizionale e al contempo, come vedremo, ravvisa però la sopravvivenza di alcune di queste forme anche nell’età contemporanea. Il primo tema, in questo caso si tratta proprio di un istituto sociale che Evola viene a trattare in questa sezione, è il matrimonio.
Il titolo di questa sezione è molto evocativo, il matrimonio come mistero nel mondo della tradizione. Qui Evola chiarisce come la famiglia nel mondo tradizionale non fosse tanto intesa come un’associazione naturale, su base quindi biologica, e neppure come si sarebbe poi concepito a partire dalla modernità una forma di contratto, quindi una struttura giuridica, quanto invece sia essenzialmente, scrive Evola, un’istituzione a base religiosa. Ovviamente anche oggi, questo lo dico per chiarire soprattutto a chi conosce meno il linguaggio di Evola, anche oggi ovviamente i matrimoni non civili ma religiosi sono religiosi da un punto di vista formale, ma quello che Evola intende è che nella reale esperienza interiore dell’uomo nel contesto del tradizionale, l’unità che veniva ritualizzata all’interno dell’istituto del matrimonio era realmente percepita come un’unità sacrale, da cui poi gerarchicamente discendevano anche ovviamente degli obblighi sociali, politici, etici e così via, ma soltanto in secondo grado, perché il matrimonio era appunto, come dice il titolo della sezione, un mistero.
Nel matrimonio scrive Evola il fattore individualistico era di ordinario assai ridotto, non appariva come il fattore determinante. Qui Evola in particolare critica l’idea moderna del matrimonio come l’esito ultimo di una relazione d’amore romantico concepito attraverso l’antropologia e la visione dei sentimenti proprio dell’uomo ottocentesco, quell’ideale romantico che troviamo in tanta letteratura di orientamento romantico, ma più in generale nella narrativa dell’Ottocento e del Novecento. Il matrimonio come rito sacro, dove la dimensione erotica era ovviamente decisiva, perché all’interno della coppia si realizzavano delle unioni che attraverso il crisma del matrimonio erano nobilitate da un punto di vista spirituale, era essenzialmente una forma di rituale, quindi una consacrazione propriamente religiosa dalle tinte perfino esoteriche.
Evola chiarisce, e qui si riferisce in particolare al mondo romano, spesso si badava solo accessoriamente all’inclinazione dell’individuo all’affetto, l’amore romantico. Era la stirpe che invece si aveva soprattutto in vista. La dignitas matrimoni a Roma fin da principio si legò all’idea della discendenza gentilizia.
Così, e non solo a Roma ma anche in Grecia e in altre civiltà tradizionali, si distingueva la donna da assumere nella dignitas matrimoni a questo fine, e altre donne di cui in paritempo all’uomo era eventualmente consentito l’uso ai fini della pura esperienza erotica, don dell’istituto del concubinaggio. Il matrimonio qui appare nella visione di Evola non, come potrebbe essere interpretato da altri autori contemporanei, una istituzionalizzazione finalizzata all’utilità politico-sociale ma priva appunto di amore, di spontaneità, ma invece proprio per questa coscienza della sacralità del rapporto, una istituzione nobilitante dove il criterio fondamentale non era l’esclusività sessuale della coppia che in quanto, come dire, pratica fisica e biologica legata al piacere era considerata da un punto di vista valoriale un’attività inferiore, bensì nel ruolo simbolico, sacrale di simbolizzazione e testimonianza metafisica che l’istituto stesso aveva e nel fatto che all’interno della discendenza che veniva concepita all’interno del matrimonio, e ricordo pure che Evola in altri passaggi sottolineerà come la procreazione non è la funzione primaria all’interno della sacralità del sesso, ma in questo tipo di assetto tradizionale quindi nell’istituto del matrimonio, che ovviamente era finalizzato la procreazione, fosse proprio nel tramandare questa forza primordiale del genius della famiglia, della gens, della stirpe, che si realizzava questa forza mistica, per cui la donna, chiarisce Evola, prima di essere del marito era sposata da questa forza mistica del ceppo, cioè appunto dell’unità familiare. La donna in questo senso nel mondo romano, ma poi Evola fa altri esempi anche tratti da altre civiltà indo-europee, era associata strettamente al fuoco, inteso come simbolo del fuocolare domestico, come vesta, come fiamma viva, come fuoco vitale, che diventava una forma di mediazione, di insufflazione potremmo dire, dell’influenza sovrasensibile all’interno del nucleo familiare.
Quindi una complementarietà anche qui fra il principio maschile e quello femminile che l’istituto del matrimonio rendeva una hierofania, una manifestazione del sacro riconosciuta a livello poi sociale, comunitario. Sul tema del matrimonio Evola poi propone altri esempi, altri riferimenti tratti da altre culture che tutti però confermano questa lettura. Cita per esempio, per menzionare un caso piuttosto lontano da un punto di vista geografico, storico e culturale, la tradizione ebraica su cui scrive Evola lo stesso ebraismo ignorò la condanna ascetica del sesso.
Il matrimonio non fu concepito come una concessione alla legge della carne, più forte dello spirito, bensì come uno dei misteri più sacri. Alla cabala ebraica ogni vero matrimonio valse infatti come una riproduzione simbolica dell’unione di Dio con la shekinah, il principio mistico legato alla femminilità. Posso dire una cosa? Si.
A proposito, per interromperti un attimo, a proposito di quello che poi è un discorso che noi abbiamo fatto spesso, il fatto che ci sono determinate tecniche come le taoiste, tecniche della Cina sul discorso dell’astinenza, perché lui ne parla da questo punto di vista, proprio perché segue quel filo logico che la sessualità e la procreazione non hanno nulla in comune rispetto a quello che ci hanno sempre tramandato, soprattutto da un punto di vista cristiano, la dimostrazione delle tecniche del contenimento del seme, che facevano sia nel tantra e sia nel taoismo della Cina, è la dimostrazione come la procreazione non centri niente con il discorso del piacere sacro, in questo senso, solo che è una tecnica che viene meno alla parte cristiana, questo poi lui lo vedrà più avanti nei paragrafi, quando da continenza si passerà al termine di astinenza, ti ricordi di questo? Ne abbiamo parlato del discorso delle encrateia, per cui il piacere sacro non sta nella eiaculazione e quindi nel modo poi per evitare di avere figli in qualche modo o attraverso sistemi che siano anticoncezionali, antichi, moderni o attraverso l’aborto, bensì nella non emissione del seme, nella trasformazione del seme in energia sessuale, quindi fondamentalmente volevo dare una finalità che poi c’è mancata, è come se a un testimone da un punto di vista erotico, spirituale, sessuale, poi successe qualche cosa che non è…
Questo è un tema importante che ci permette, coerentemente, di anticipare alcune riflessioni che Evola propone nel paragrafo successivo in cui tematizza specificamente il rapporto tra cristianesimo e sessualità, proprio perché Evola, diciamo, riconosce all’interno del cristianesimo una certa confusione tra, potremmo dire, il piano mondano e quello propriamente ascetico.
Su Evola e il cristianesimo si potrebbe parlare a lungo, nel senso che l’interesse di Evola per questa religione, un interesse critico ma sicuramente sviluppatosi in fasi diverse, in una evoluzione di prospettiva, lo accompagna in tutta la sua produzione dall’atteggiamento più critico, sviluppato soprattutto in sede giovanile, nell’epoca dell’avanguardia, quando Evola, da lettore di Nietzsche , sviluppa un prepotente anticristianesimo che trova una delle sue più note rappresentazioni nel saggio imperialismo pagano, all’elaborazione di, soprattutto in seguito all’incontro con il tradizionalismo di Guénon, ma anche con il dialogo con autori che Evola stimava molto del mondo mitteleuropeo, soprattutto austriaco, che erano cattolici, di una distinzione, diciamo, fra un cristianesimo delle origini inteso come una sorta di setta medio-orientale, verso cui Evola rimase sempre molto critico, e invece un cattolicesimo sviluppatosi come sintesi di questa spiritualità orientale e di una simbologia di una tradizione filosofica europea, romana, che ha prodotto il medioevo europeo e su cui Evola pure sviluppa delle evidenze critiche, ma in un contesto di maggiore interesse e stima verso la forma spirituale che ha prodotto molti secoli di grandezza della civiltà europea. Dovendo lasciare però questo tema, che è molto complesso, un po’ da sfondo nella nostra analisi più specifica, possiamo vedere come su questo tema che stiamo trattando Evola noti come entrare nelle civiltà propriamente tradizionali sulla base del principio che lo sacro viene espresso in modalità diverse, nelle diverse costituzioni umane, era riconosciuto quindi diverse modalità di rapporto con la sessualità sulla base delle vie spirituali intraprese, per cui in un istituto familiare, per il significato sacrale del matrimonio che abbiamo visto, il sesso era inteso come una dimensione propriamente rituale, positiva, ma non era moralisticamente stigmatizzato anche al di fuori dell’istituto matrimoniale.
Non era invece praticato da alcuni gruppi specifici che, per ragioni di una sorta di meccanica spirituale, desideravano praticare un’ascesi, pensiamo ad esempio a gruppi in India in cui l’attività sessuale era esclusa, ma non sulla base di ragioni morali o di leggi universali, ma come pratica rituale specifica che teneva conto del potenziale energetico del sesso. Un’ascesi fondata sulla castità non era basata sul disprezzo del sesso, ma sulla scelta di utilizzare l’energia erotica in una determinata maniera. Era la via del distacco, della trascendenza, una via di sciva, qui la chiama Evola, che in alcune correnti appunto prevedeva anche una astinenza, ma per ragioni religiose, rituali, sacrali.
Il cristianesimo invece nel suo sviluppo storico, secondo Evola, tendenzialmente unificato i piani, proponendo, per dirla nel modo più semplice, anche al fedele comune, uno stile di vita estremamente continente e quindi ascetico, che però nella Costituzione Comune non è praticabile, quindi creando poi quella contraddizione fra la legge morale impartita e poi una certa, come dire, anche nei fatti accettazione di fatto della sessualità che nella pratica fu ampiamente praticata in tutte le epoche storiche. Perché questi insegnamenti si sono andati persi, o perlomeno in maniera sistematica, diventa soltanto un discorso, come dici tu, di setta, cioè bisognerebbe andare a trovare per gli uomini, fondamentalmente, perché il problema è maschile per come siamo organizzati da un punto di vista fisiologico, conoscere questa tecnica che è andata persa non ora, questa è una tecnica che è andata persa con il cattolicesimo, cioè nel senso che i primi cristiani, i protocristiani, sicuramente proprio di origine indo-europea, conoscevano ancora questa tecnica. Infatti su questo tema specifico la posizione di Evola è un po’ diversa da quella che vi ho prima indicato come quadra generale della sua lettura del cristianesimo, che appunto normalmente è piuttosto molto critica quella delle origini ed è un po’ accondiscendente positiva su quello medievale.
Su questo tema invece, come stavi giustamente dicendo, Evola riconosce una dogmatizzazione, una strutturazione di questa struttura proprio in epoca medievale, poi moderna e più recente, e ipotizza invece che nelle comunità originarie vi fosse una certa contezza di queste pratiche. Ad esempio cita un passaggio in effetti molto interessante del Vangelo di Luca, che ora vi leggo, in cui Evola riconosce questa differenza di piani perché è scritto «i figli di questo mondo si sposano e le figlie si maritano, ma coloro che saranno reputati degni di ottenere quell’altro secolo e la risurrezione dai morti non si sposano e non si maritano, ma che essi più non muoiano e siano simili agli angeli». Questa frase secondo Evola distingue fra una pratica religiosa comune, che è quella che prevede il matrimonio e quindi non prevede alcun tipo di veto sull’attività erotica.
Si parla di un’istituzione, ma sempre in quella visione sacrale della sessualità. Invece una via che riguarda soltanto quelli deputati degni di ottenere quell’altro secolo, sembra parlare di una ristretta élite di asceti, di persone chiamate che eviteranno, in quanto non si sposano e non si maritano, la dimensione carnale. Così trova questo tipo di riflessioni anche in molti altri passaggi, ad esempio in San Paolo, dove si parla del matrimonio come di mistero.
C’è un attimo che è la famosa frase, quella di Eunuchi per il Regno dei Cieli. Si parla non tanto di non avere i rapporti sessuali nel senso scontato della cosa. Eunuchi significa non utilizzare il pene per l’emissione del seme fondamentalmente, ma in realtà l’energia sessuale poteva essere utilizzata attraverso altre tecniche.
Secondo me c’è di fondo una sorta di confusione, di ambiguità, proprio perché queste tecniche erano per gli iniziati, cioè per coloro che avevano questa possibilità di non utilizzare il membro maschile come concepimento, diciamo la parte bassa della sessualità e quindi utilizzare invece altre tecniche. Infatti poi Evola riconosce anche la sussistenza di queste pratiche, anche se in forme minoritarie, forse un po’ confuse, in alcune correnti di quello che potremmo definire un cristianesimo eterodosso, e menziona tre principali realtà storicamente attestate. In primo luogo questa corrente dei fratelli del libero spirito che Evola dà al XIII-XIV secolo, di cui Evola dà una breve descrizione, cito un po’ direttamente le sue parole, è un gruppo nel quale vi sarebbe stato un atteggiamento diverso rispetto al sesso.
In tale corrente, spiega Evola, venivano distinte due religioni, l’una valevole per l’ignorante, l’altra per l’illuminato, e si affermava la possibilità per quest’ultimo di pervenire a uno stato tale da vedere Dio agire in sé in ogni cosa. Per chi si trova in tale stato l’idea del peccato viene meno, la norma ascetica perde ogni significato, e quindi negli stessi riguardi del sesso viene dichiarata l’impeccabilità dell’uomo illuminato, libero nello spirito. Questa via fortemente esoterica distinguerebbe nettamente fra la condotta dei più, che per una sorta di utilità morale, compattezza sociale, va bene anche che segua i dettami della sovrastruttura etica dell’epoca, e un gruppo ristretto che raggiunta attraverso una serie di pratiche, di forme iniziatiche, la libertà spirituale, non peccherebbe più e potrebbe praticare anche la sessualità senza alcun tipo di dimensione negativa.
Ecco quindi che Evola riconosce, un’altra tendenza sempre ascrivibile a esperienze in cui la sessualità era concepita come accettabile per spiriti particolarmente illuminati, legata a dei casi individuali, fa un esempio di questa inchiesta del XVIII secolo in un convento delle Dominicane a Prato in cui si annotava la presenza di pratiche erotiche accettate sulla base del fatto che i partecipanti ritenevano che essendo libere spiritualmente, avendo raggiunto un certo stato spirituale, non avrebbero peccato. Poi invece c’è una menzione da parte di Evola di un gruppo, quello dei chlysty slavi, che praticava dei veri e propri rituali collettivi, delle orge rituali, in cui l’unione sessuale degli uomini e delle donne, qui cito Evola, considerati gli uni come incarnazioni del Cristo, le altre come incarnazioni della Vergine, attribuiva alla sessualità un valore di liberazione. Tuttavia probabilmente storicamente la presenza di questa visione era legata ai riti pagani precedenti che in qualche modo venivano incorporati all’interno di queste pratiche, su cui c’è pochissima letteratura, ma che grazie a Evola vengono menzionate anche in Italia.
Pare fra l’altro che lo stesso celebre Rasputin, ma anche questo non credo sia del tutto attestato, però forse in qualche modo legato a questo tipo di ritualità. Se tu ci pensi un attimo, il discorso è questo, qualsiasi citazione che riguarda le orge o comunque l’intenzionalità anche da parte delle suore rispetto alla sessualità è data dal fatto che la sessualità a un certo punto è stata demonizzata. Il momento in cui Cristianesimo, non quello primitivo ma quello più avanzato, mettiamo sempre dal punto di vista del Cattolicesimo, da San Paolo in poi, mettiamola in questi termini, questo è una mia idea, ma me la sono fatta approfondendo sempre di più le religioni, dal momento in cui alcune tecniche, come dici tu, che riguardavano quelle sette ma riguardavano anche correnti enormi come Tantra, il Taoismo, persero quella tecnica che serviva al controllo delle nascite a monte, nel senso che tu al momento in cui volevi fare un figlio emettevi il seme, altrimenti utilizzavi l’energia sessuale in maniera diversa, dal momento in cui queste tecniche vennero trasmutate in peccato e quindi il profano peccava l’iniziato e invece l’illuminato, da quel momento in poi ogni pratica che veniva fatta, compresa questa qua dei chlysty, che in qualche modo hanno un nome simile a quello di Cristo dove, come ha ben detto Evola, le donne erano l’incarnazione della Vergine e gli uomini erano l’incarnazione di Cristo, era sempre un modo come un altro per trasgredire qualcosa che era peccaminoso.
Diciamo che la spiritualità dei chlysty sembra, per usare il linguaggio evoliano, sembra essere una sorta di via della mano sinistra all’interno del cristianesimo, perché ci sarebbe quella medesima idea che in alcuni casi la trasgressione sistematica di alcune norme di carattere religioso possa risultare liberatoria e spiritualizzante, anche se nel caso sia fatta all’interno di una specifica via spirituale, quindi non in modo casuale, confuso o egoistico, ma sulla base di una ritualità specifica che, ad esempio, è l’attribuzione di significato che viene proposta da Evola per tutto il complesso di rituali tantrici indiani, perché anche in India e in molte altre scuole quello che nel tantrismo è accettato e praticato viene considerato invece non peccaminoso in senso morale, perché c’è una concezione diversa, ma non sacro. Si tratta invece in queste correnti di, per usare un’altra espressione di Evola, di Kamalakara e la tigre di trasformare il veleno in farmaco e quindi di cambiare di polarità il disegno, quella che in fin dei conti è un’energia che può acquisire funzioni diverse in base alle modalità di utilizzo e alla intenzionalità del praticante. Certo, ridurre il peccato sessuale al fatto che si sia perso l’uso di una tecnica è molto riduttivo, se ci pensi un attimo, è molto schermente in qualche modo, siccome non sappiamo più come fare determinate cose che ci servivano per utilizzare l’energia sessuale non genitale, quindi quella sessuale non genitale, siccome non lo sappiamo più come si fa, la facciamo diventare peccato e abbiamo risolto il problema.
Così, chi ci arriva, ci arriva, chi non ci arriva, pecca. Questo sembra manifestarsi anche nel tema del capitolo successivo che riguarda la prostituzione sacra, perché ovviamente anche la prostituzione è in determinati contesti monoteistici stigmatizzata e nel momento in cui era per mero commercio economico, anche nelle civiltà tradizionali non era guardata in buon occhio, ma Evola ricorda l’esistenza di una forma specifica di prostituzione, quella sacra, che è una vera e propria forma dice Evola di hierogamia, cioè l’unione sacra. Hieros in greco significa sacro.
Evola menziona le cosiddette hierodule, cioè le addette alla Dea, che erano delle donne le quali avevano proprio la funzione sacerdotale di favorire l’unione dell’uomo con il divino attraverso il contatto, fornire all’uomo un contatto sperimentale con la divinità attraverso gli strumenti dell’amplesso. Qui Evola fa numerosi esempi, tratti come sempre da diverse civiltà, mostrando come questo mistero dell’unione fra maschile e femminile, su cui non torno perché è oggetto continuo delle nostre riflessioni in questo percorso, potesse anche manifestarsi all’interno di questa forma religiosa. Tanto che dice Evola l’idea della unione fra uomo e donna per finalità sacrale si mantiene simbolicamente, non viene più effettuata nella pratica, ma anche in numerose simbolizzazioni religiose.
Ad esempio scrive Evola che lo stesso rito pasquale di consacrazione dell’acqua, quale viene celebrato soprattutto nella chiesa ortodossa, conserva tracce visibili di simbolismo sessuale, la candela avendo un palese significato fallico e un’immersa tre volte nella fonte simbolo del principio femminile delle acque. Si tocca l’acqua, si soffia tre volte su di essa, segnandone la lettera greca Pi e la formula consacrante, pronunciando poi delle parole rituali che invocano una rigenerazione e fecondazione. Questa forma simbolizzata, secondo Evola, sarebbe una memoria di quelle antiche pratiche di ierogamia, tra le quali va numerato anche il caso della prostituzione sacra.
E in parte anche le orge rituali su cui Evola torna, come quei riti con funzione magico-operativa concepiti come delle esperienze in determinate tradizioni per rompere lo stato di coscienza normale del partecipante e raggiungere un’apertura verso la trascendenza. E’ ovvio che la valutazione positiva e l’interesse di Evola per queste forme di pratica va sempre contestualizzato all’interno di questa dimensione sacrale e spirituale. Il passaggio dall’apprezzamento, più che dall’apprezzamento che sarebbe un giudizio di valore soggettivo, dal riconoscimento del valore culturale e spirituale di queste pratiche alla accettazione di queste pratiche in un contesto del tutto secolarizzato senza alcuna finalità spirituale, ovviamente è un salto che non appartiene alla visione di Evola.
Ma infatti lì è stato il discorso e questo, c’è l’interpretazione secondo canoni sempre cattolici. Facciamo un distinguo, lui parla di cristiano però diciamo più cattolico in questo senso. Quando viene interpretata la prostituzione sacra secondo un principio cattolico in cui il sesso è peccato, la prostituzione sacra non diventa più sacra ma è soltanto prostituzione e le orge sono orge, sono sesso e basta tanto per fare sesso.
Giusto? C’è questo il senso. Comunque, anche se come dicevo è chiaro che l’intento di Evola va in quella direzione, se pensiamo al contesto del 1958 chiaramente parlare esplicitamente ad esempio di orge rituali chiaramente poteva suscitare molte critiche perché ha potuto dare adito a certi lettori maliziosi e non attenti alla prospettiva evoliana che vi fosse una sorta di giustificazione di queste pratiche erotiche in termini profani, cioè del tipo se attribuisco a queste pratiche un valore nobile, spirituale, sacro allora incentivo la loro pratica comune, ma ovviamente questo non fa parte delle intenzioni dello scritto di Evola. Il discorso è quello di mostrare come l’utilizzo di una pluralità di pratiche erotiche che ovviamente differiscono dall’epoca all’area geografica, alle diverse civiltà, talvolta sono monogame, talvolta legate a più partner, talvolta anche ad attività di gruppo, fosse sempre riconosciuta, e sperimentata soprattutto per tornare al tema iniziale, quindi interiormente vissuta come una forma di congiungimento con il divino.
Per fare un esempio che a volte non viene considerato, la civiltà di Mohenjo-daro degli Harappa, quindi stiamo parlando della valle dell’Indo, di cui poco si sa, ma che è comunque una civiltà molto avanzata, stiamo parlando di oltre 5.000-6.000 anni fa, poi poco importa, comunque sia prima dei Mesopotamici, mettiamola così visto che noi veniamo da là, pare che nelle case avessero il posto del salotto, la stanza da letto e viceversa, cioè un ingresso dove uomini e donne nel momento in cui si riunivano facevano sesso, tradotto sempre da un punto di vista occidentale, tanto per capirci. Poi si mangiava, però nel momento in cui c’era questa grande sala dove ci si incontrava, e quindi le donne e gli uomini per conoscersi e per incontrarsi e per essere felici facevano questa pratica energetica sessuale, questa è una cosa che è stata ampiamente dimostrata da un punto di vista proprio iconografico, ma stiamo parlando degli Harappei che non erano né precristiani, né preindorientali, né precinesi, chiaramente sto facendo di tutto un erba un fascio, stiamo parlando di periodi in cui tutte queste cose erano utilizzate nel massimo della grande libertà. La stanza sicuramente completa questo discorso.
Bene, forse possiamo passare a quella che credo sia l’ultima sezione che vogliamo fare oggi, intitolata Incubi e Succubi, Feticismo e processi di evocazione. Qui Evola prende in considerazione una pluralità di fenomeni, ma il tema, il centro del suo interesse è proprio quello della possibilità che questa energia sessuale, che nei casi che abbiamo visto, quindi nel matrimonio come mistero, nella prostituzione sacra, nelle ierogamie, nelle pratiche rituali tradizionali venivano utilizzate come forza anagogica, quindi per innalzare lo stato di coscienza dell’uomo, rischiano, se utilizzate male o se indotte con strumenti specifici da parte di alcuni praticanti, di risolversi nell’opposto. Trattandosi, come abbiamo visto, di energie che non hanno una direzionalità unica, è possibile che queste forze vengano deviate e che quindi si determini un mutamento dei rapporti in cui il sesso tende invece a incatenare l’uomo anziché a innalzarlo.
Ecco perché Evola parla di succubi. Succubi sono quegli uomini che si legano a una donna, non però come vedremo più avanti ad esempio parlando dei fedeli d’amore, comprendendone la funzione sacrale, pontificale, anagogica, ma desiderandola e bravandola in un modo autodistruttivo che perde di vista appunto quella direzionalità verticale e sottomette l’uomo all’immagine del femminile. Evola parla della fenomenologia del servaggio sessuale a tal proposito.
Può essere un servaggio sia fisico che psichico, spesso lo è ad entrambi i livelli. Il contatto col sovrasensibile quindi che viene realizzato in questi casi è quello con una spiritualità deteriore, demonica, di cui già peraltro abbiamo parlato in altri capitoli, in cui l’uomo non è innalzato verso il sovrasensibile ma verso l’infrasensibile, quindi verso una dimensione pericolosa. Ecco che questa dimensione secondo Evola appare anche in molte rappresentazioni artistiche, letterarie, in cui la dimensione appunto del pericolo di un culto, di un servaggio d’amore che rischia di invertire questa energia non diventa più un’esperienza rituale positiva ma può portare all’autodistruzione.
Queste pagine fanno un po’ da complimento, da approfondimento a temi che già erano immersi nei precedenti capitoli, quando Evola ad esempio parlava dell’immagine della donna vampiro, della dimensione demonica dell’amore. Eros è una forza perturbante, misteriosa, quindi ha un lato come alcune divinità, ha un lato solare, splendido, celeste, ma anche un lato inquietante, perturbante, infernale, tellurico e qui Evola appunto puntualizza un po’ questo aspetto. Non so se vuoi aggiungere qualcosa su questo.
Mi piaceva questa parte un po’ finale sul fatto che non solo non siamo capaci di controllare questo Eros, che non sappiamo in realtà dove convogliarlo, ma con, come dice lui qua, questa parte qui esattamente, siamo a pagina 221, con l’insegnamento col venir meno della base fisica dell’amore sessuale il supporto dell’evocazione magica si altera e viene meno e tutto ciò che può sussistere sarà una cosa diversa, soltanto umana. Il tempo, è attaccato dentro come una malattia, dice alla donna quanto essa sia preziosa in un solo determinato attimo, penso che questo momento non esisterà più, che tu dovrai cambiarti, morire, che tu te ne vai via, eppure sei qui. E questa è la tragedia esistenziale di ogni vero amore, effettivamente è entro dati limiti di età che specie la donna presenta una materia adatta per la sua eventuale metamorfosi, praticamente è traendo partito dalle possibilità fuggibili, dalle attrattive possedute in questo breve periodo, che ogni donna cerca di legare per sempre a lei come persona empirica un uomo, di massima col matrimonio.
Perché questo? Perché la considerazione che volevo fare è che non solo ti passa poi tutta la vita in questa forma di attrattiva, in questa forma di sessualità, chiamiamola profana, materiale, poi a un certo punto questa sessualità durante la vecchiaia, sia per l’uomo che per la donna, ma soprattutto in questo caso parliamo di uomo perché è sempre l’uomo che poi è stato quello che in qualche modo si è sentito adescato dalla donna. Perde completamente il senso della sua eccitazione, del suo eros e quindi perde la vitalità, semmai l’ha avuta, anche se è strutturata male, anche se è utilizzata in maniera poco economica da un punto di vista reichiano, nel senso della sessueconomia perché c’è stato questo spreco vitale. Ma poi una volta che finisce il desiderio con la vecchiaia è finito tutto.
Questo è importante. Ma non tocca invece i principi che, come abbiamo visto, sono sempre atemporali. E poi è come se a un certo momento tornassero uno stato invisibile, di latenza, uno stato potenziale in cui le condizioni in cui le persone specifiche non sono più adatte, ma verranno evocate in altri corpi, in altre vite, in altre biografie.
Questo ovviamente determina questa consapevolezza più o meno confusa, ha determinato anche grandi esempi di produzione letteraria, artistica, che contempla una certa malinconia, ma anche fascinazione, la trasformazione della vita e la caducità di questa forza erotica. Assolutamente sì. Ricordiamo sempre che noi facciamo voli pindarici, perché se dovessimo parlare esattamente di tutto quello che lui scrive non basterebbero, non dico anni, ma mesi, perché è tutta sostanza, tutto contenuto.
Perché poi lui apre continuamente argomenti e li corrobora da esempi pratici, quindi una grande bibliografia, come dicevi tu anche l’altra volta, molta bibliografia di Evola ti è servita assolutamente come base di studio da questo punto di vista. Però lasciamoli qui, i nostri spettatori, questi coraggiosi che continueranno a seguirci, lasciamoli qui in sospeso con questa traduzione che avverrà di questa sessualità alta che veniva conservata fino a un certo momento prima dell’avvento consistente del XIV, abbiamo cercato di configurare, quando poi nel medioevo si ripresenta invece questa nuova interpretazione, questa nuova corrente ermetica, o c’è stata sempre, questo non lo potremmo sapere mai, che sono i fedeli d’amore, di cui faceva parte il nostro favoloso Dante Alighieri, si suppone. Questo sarà il tema del nostro prossimo incontro che è discusso da Evola nella parte finale di questo capitolo e che ci permette di ricollegarci poi a una ampia riflessione su questa misteriosa corrente, su cui pure l’Italia, con figure come Luigi Valli e altri studiosi, ha dato un contributo significativo all’indagine di questa realtà misteriosa.