Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo – Giornata di studi dedicata a Julius Evola

Alcuni degli argomenti trattati oggi tra Roma e Milano a cura del prof. Luca Siniscalco

Giulio Cesare Andrea Evola, meglio conosciuto come Julius Evola (Roma, 19 maggio 1898 – Roma, 11 giugno 1974), è stato un filosofo, pittore, poeta, scrittore, occultista ed esoterista italiano. Si occupò di arte, filosofia, storia, politica, esoterismo, religione, costume.

Colloquio con il prof. Luca Siniscalco.

Prendiamo spunto da alcuni fra gli argomenti che verranno trattati nella Giornata di Studi organizzata in occasione dei novant’anni della pubblicazione di Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo.

Evola e lo spiritualismo?
Questo è il tema centrale che attraversa l’intero Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo. Nell’opera del 1932 Evola smaschera, alla luce del pensiero di Tradizione e ricollegandosi al magistero di René Guénon, le forme di spiritualismo e religiosità che nel Novecento emergono in funzione antimaterialista, risultando tuttavia incapaci di evocare adeguatamente il sacro nella sua dimensione tradizionale. Il tema essenziale dell’opera è, quindi, la ricerca di un criterio di distinzione fra le scuole sapienziali “autentiche” e le pseudo-organizzazioni esoteriche, le forme di «seconda religiosità», per citare Oswald Spengler.

Per “spiritualismo” Evola intende tutte quelle tendenze antimaterialiste, tese all’indagine della dimensione misteriosa, enigmatica, miracolistica della realtà, di cui il nostro affronta la maschera – ossia la superficie esteriore, dai tratti spesso interessanti proprio per il carattere antipositivista e antirazionalista delle stesse – e il volto – il cuore oscuro, contraddittorio e insufficiente su di un piano realizzativo, in quanto prive di un autentico ricollegamento a una tradizione iniziatica e di una serie indagine “scientifica” – nel senso della Scienza dell’Io postulata dal Gruppo di Ur – della trascendenza. Ecco quindi una sistematica messa a punto volta a distinguere il positivo dal negativo, con la decostruzione delle vie fallaci e una positiva pars construens, per ricavare quanto di costruttivo può essere in esse rinvenuto e orientato in senso tradizionale. Spiritismo, metapsichica, parapsicologia, teosofia, antroposofia, “esoterismo cristiano”, misticismo, magia, psicanalisi, figure come Gurdjieff e Crowley vengono analizzate dalla lente evoliana e interpretate alla luce del paradigma tradizionale – nonché dell’esperienza che Evola ebbe personalmente di tali filoni esoterici. Oggi, come scrive Gianfranco de Turris nell’introduzione al volume, «Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo risulta essere un vero manuale per districarsi fra le mille offerte pseudospirituali oggi messe in vendita anche nella Rete, divenuta un vero “specchietto per le allodole”», nonché «una esplicita, chiara, netta, messa in guardia nei confronti dei pericoli spirituali cui l’uomo contemporaneo, del tutto inconsapevole (…) va incontro».

Evola e il primitivismo?
Per primitivismo s’intende quella tendenza moderna, un “mito illuministico” stando a Evola, che invoca un “ritorno alla natura”, concepita come la dimensione originaria dell’uomo, contrapposta alla civilizzazione. Tale posizione, dai tratti antimoderni, poggia su basi completamente diverse – persino antitetiche – rispetto a quelle evoliane: il culto della natura, della vita biologica e dell’irrazionalità dei primitivisti è in contrasto con il pensiero perennialista di Evola, incentrato sulla tensione verso la differenziazione, l’ultra-vita, la trascendenza, l’intuizione intellettuale sovrarazionale.

Il mito rousseauviano del “buon selvaggio”, che assume forme distinte nella nostra cultura e nell’immaginario collettivo, tratta ingenuamente la ricerca spirituale dell’uomo, postulandone l’origine naturale e ignorando il carattere trascendente della Rivelazione primordiale. Il primitivismo appare così come una fede – ecco perché Evola sceglie di parlarne in Maschera e volto –, come una visione che postula la fiducia – o speranza – nella materia, nella natura, nella biologia. E ci dice che, per realizzarci, dobbiamo ridurre la nostra esperienza alla pura dimensione naturalistica – la tesi opposta delle tradizioni ascetiche antimaterialiste. Postulare il carattere soltanto naturale dell’uomo, nel senso del primitivismo, significa edificare una spiritualità materialista paradossale. All’interno di questo paradigma avviene la riduzione monotonica dell’umano a puro soma. Il primitivismo non concepisce, infatti, ellenicamente, la natura come physis, come trascendenza immanente, bensì come natura naturata, natura morta, statica, sostanzialisticamente concepita.

Il tono religioso di certo ambientalismo contemporaneo rende la riflessione evoliana quanto mai attuale rispetto ai problemi teorici e spirituali che il primitivismo porta con sé.

Evola e la psicanalisi?
Evola fu duramente critico nei confronti della disciplina psicanalitica e, in particolare di Freud e Jung. Psicologia, psicoterapia e psicoanalisi, infatti, sono per Evolaforme epistemologiche e terapeutiche che si rivolgono esplicitamente alla dimensione della psyché (ψυχή), ravvisando in essa il centro della personalità – conscia e inconscia – dell’uomo. Rifacendosi all’antropologia tradizionale, Evola rifiuta invece questa prospettiva, ritenendo la psyché un grado ontologico mediano fra il sòma (σῶμα), il corpo, e il noùs (νοῦς), l’intelletto, lo spirito sovrarazionale, superpersonale e sovrasensibile che procede al di là della dialettica e delle antinomie della logica dualista. Una conoscenza autentica dovrebbe quindi affrontare le problematiche dell’uomo, tanto in senso speculativo quanto operativo, a partire dalla consapevolezza della pluralità dei gradi del reale e dalla concentrazione sulla dimensione noetica: la sfera dello Spirito. È qui che la psiche viene affinata, “in-formata” dal noùs. Obliando il noetico e rapportandosi esclusivamente allo psichico, la psicanalisi si macchia di riduzionismo antropologico: preclude all’uomo ogni possibilità di realizzazione interiore e interpreta ogni suo contrasto interno alla luce della sola dimensione dell’inconscio – ossia, in termini tradizionali, delle sfere infere e demoniache, sub-razionali, aliene a ogni possibilità di innalzamento iniziatico, permesso piuttosto dal solo grado di supercoscienza.

Se, pure, è possibile riconoscere alla psicoanalisi una certa efficacia terapeutica, questo non inficia, stando a Evola, il giudizio del tutto negativo che tale paradigma merita nei suoi aspetti teorici, antropologici ed epistemici, nella sua “filosofia della cultura” soprattutto. Ponendo l’uomo “malato” come “misura” antropologica, la psicoanalisi perde di vista il singolo nella sua condizione “normale”, ossia in quello stato di centratura interiore e di unità spirituale che il sapere tradizionale pone come “misura di tutte le cose”.

Ciò non toglie che vi siano numerosi indizi per problematizzare ulteriormente la questione, tanto da riscontrare, come alcuni hanno fatto, significative (seppur sottili) connessioni fra Evola e la psicanalisi: l’interesse del giovane Evola dadaista per la dimensione perturbante dell’opera di Freud; l’affinità con Jung sulla questione mitico-simbolica e sul tema della volontà; l’importanza della prassi come metodo esperienziale di formazione interiore; infine, la “storia degli effetti” che ha coinvolto il rapporto fra Evola e la psicoanalisi, con l’interessamento di numerosi psicologi e psicoterapeuti all’opera del pensatore di Tradizione.

 

 

 

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