Una delle manifestazioni più evidenti del potere mafioso è il silenzio che crea, è forse la risorsa più preziosa di cui dispone, di un valore immutato nei secoli e per cui è disposto a mutare ogni altra cosa. Nonostante le numerose tracce lasciate nel corso della Storia, per quanto frammentate, la sua esistenza cessa di essere smentita dalle istituzioni solo dal secondo dopoguerra, con una comunicazione globale sempre più rapida e interessi sempre più alti difficili da nascondere: dopo anni di testimonianze scollegate e imperdonabilmente ignorate, nel 1962 l’italoamericano Joe Valachi rivelò il nome di un’organizzazione operante negli Stati Uniti d’America, suddivisa in “famiglie” e denominata Cosa Nostra; vent’anni più tardi, il “boss dei due mondi” Tommaso Buscetta confermò lo stesso nome per l’organizzazione siciliana e ne rivelò quasi tutte le informazioni di cui siamo a conoscenza ancora oggi. Solo negli anni Ottanta del Novecento la società iniziò a prendere sul serio la questione, ma c’erano secoli di Storia da recuperare per comprendere un fenomeno che, nel frattempo, stava già approfittando dello sviluppo rapido e frenetico della globalizzazione per mutare forma e adottare una nuova strategia di silenzio: la creazione del rumore intorno a sé. Costante, ordinato, sempre più sottile e pericoloso, si tratta di un rumore studiato con una lungimiranza spaventosa e suddivisibile in tre periodi: quello dell’assestamento, il cui esordio è possibile ricondurre a un anno preciso, il 1973; quello dell’eversione, dominante nell’ultimo decennio del Novecento; quello della mistificazione, che viviamo ancora oggi e che impedisce persino di comprendere lo “stato di salute” delle mafie. Si attende che la silenziosa Cosa Nostra, considerata senza vertice e molto debole – come dichiarato dal procuratore della Repubblica di Palermo Maurizio de Lucia in un’intervista pubblicata il 17 settembre 2023 – reagisca al decesso di Matteo Messina Denaro; si osserva l’immutata condotta gangsteristica della camorra, che solo a Napoli conta oltre quarantasei gruppi e a Caserta diciotto, secondo la mappatura 2022 e 2023 della DIA, tra alleanze come quella di Secondigliano e confederazioni come quella dei Casalesi; si dibatte sulle attuali caratteristiche della Sacra Corona Unita, spesso considerata una pluralità di consorterie pugliesi, priva di una cupola e meno allarmante della ben più chiassosa Società Foggiana, ancora oggi in preda a una faida significativa; infine, si considera la ‘Ndrangheta come la mafia più potente dei giorni nostri, tanto ingarbugliata con la cosiddetta “zona grigia” di professionisti al suo servizio quanto presente in modo soffocante su ogni territorio in cui abbia teso i propri fili.
In sostanza, secondo le attuali ricostruzioni, nessun sistema mafioso dispone più di un vertice all’infuori della ‘Ndrangheta. Anzi, in seguito ai processi Gotha e Rinascita Scott, conclusi rispettivamente a giugno 2021 e a novembre 2023, è emerso uno sviluppo inverso alle altre mafie, che ha generato una struttura superiore alla stessa organizzazione calabrese, detta la Camera, che secondo le dichiarazioni rese al giornalista Daniele Piervincenzi da un’ex figura del vertice ‘ndranghetista sarebbe composta anche da alti membri delle istituzioni e deciderebbe le scelte del Paese.
Dalla ricostruzione sull’articolo Mafie, memorie e fantasia si presume che la scarsissima consapevolezza che il regno d’Italia avesse sulla Calabria impedisca ancora oggi di ipotizzare le circostanze e le conseguenze di una probabile riforma risorgimentale mafiosa come quella che avvenne in Campania e in Sicilia, con la fondazione della Bella Società Riformata e dell’Onorata Società, che portò a una definitiva spaccatura del fenomeno in società distinte e separate come sono state scoperte nel Novecento, secolo che vide l’organizzazione campana sgretolarsi in svariati gruppi camorristici e quella siciliana trasformarsi in Cosa Nostra. Probabilmente, questo è stato il primo elemento che ha consentito alla ‘Ndrangheta di far credere la sua inesistenza fino a vent’anni fa e, per questa ragione, è opportuno aprire la ricostruzione soffermandosi sul suo sviluppo.
Dalla Picciotteria alla Mano Nera, dalla French Connection all’Anonima Sequestri
La ‘Ndrangheta è solo un nome. La struttura è tutta Cosa Nostra.
(Leonardo Messina alla Commissione Parlamentare Antimafia, 4 dicembre 1992)
Reggio Calabria è il primo comune sciolto per criminalità organizzata nella Storia d’Italia: questo triste primato, risalente al 1869 per decreto regio, lascia intendere l’esistenza della ‘Ndrangheta in quanto fenomeno strutturato e ben insinuato nella pubblica amministrazione dell’epoca, al pari della Bella Società Riformata campana e dell’Onorata Società siciliana. È di venticinque anni dopo la confessione sull’esistenza di “un’associazione di ladri” rilasciata dal criminale Beniamino Cotroneo, come riporta Mario Casaburi in Borghesia mafiosa: la ‘ndrangheta dalle origini ai giorni nostri (Edizioni Dedalo, 2010); è possibile che si trattasse veramente di un semplice gruppo di ladri, attività tradizionalmente e ufficialmente disdegnata dalla mafia, ma considerando il numero sorprendente di cosche che balzarono agli onori dei tribunali negli anni successivi sarebbe ingenuo presumere che qualsiasi ladro dell’epoca non dovesse operare sotto la consueta “benedizione” mafiosa.
Gioia Tauro, 9 novembre 1929: dopo quasi trent’anni di processi sollevati dalle confessioni dell’affiliato Francesco Albanese, l’autorità giudiziaria attestò per la primissima volta l’esistenza di una vasta organizzazione calabrese e ne condannò centocinquanta affiliati, uomini e donne, stretti fra loro da legami di sangue che raggiungevano gli Stati Uniti d’America e l’Australia. Prima di questo maxiprocesso era stata riscontrata l’appartenenza di criminali calabresi in consorterie a prevalenza siciliana, prima fra tutte la Mano Nera, l’organizzazione che gestiva il pizzo e l’usura tra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento per le strade di New York. Le ricostruzioni giornalistiche dell’epoca sono troppo poco accurate per comprendere se fosse uno sviluppo premeditato dell’Onorata Società per consolidare il potere d’oltreoceano o una spontanea iniziativa dei mafiosi emigrati, ma è certo che non disdegnava la collaborazione di esponenti non siciliani – si annoverano anche campani, pugliesi, molisani e abruzzesi, seppur in minor numero rispetto ai calabresi – e che fosse in stretta connessione con Palermo, la città dove il tenente di polizia Joe Petrosino fu ucciso il 12 marzo 1909, proprio durante un’indagine successiva all’efficace contrasto che riuscì a condurre contro la Mano Nera nella Grande Mela. L’interesse dell’opinione pubblica, con la partecipazione di duecentocinquantamila persone al funerale, consentì alla squadra di polizia formata da Petrosino per contrastare il fenomeno criminale italiano di proseguire l’operato rigorosamente, fino ad ottenere un’importante delazione dall’esponente calabrese Giuseppe Ruvolino. Liberato in cambio della collaborazione, Ruvolino rientrò con sua moglie e i suoi sei figli nella contrada Quattronari di Pellaro, ora quartiere di Reggio Calabria; nella sua abitazione, la sera del 4 settembre 1910 fu ucciso a colpi di ascia insieme alla sua famiglia, tra cui l’ultimogenito di quattro mesi e la figlia di otto anni che, come testimoniarono i vicini, urlò “Zio, non mi ammazzare!”. Questo atroce dettaglio rivela due elementi: lo stesso codice spietato che vige ancora oggi sui legami di sangue all’interno della ‘Ndrangheta, molto più rilevante rispetto alle altre mafie, e gli stretti rapporti tra la Mano Nera e quest’unione di criminali calabresi, annoverata allo stesso modo tra le fila della manovalanza mafiosa del primo Novecento, motivo per cui era denominata Picciotteria. La mescolanza con l’Onorata Società lascia ipotizzare un’origine simile a una sorta di filiale, ferocissima e ambiziosa, che spiegherebbe per quale ragione gli affiliati riuscirono man mano a conquistare posizioni sempre più alte nel panorama del crimine internazionale: come il cosentino Frank Costello, balzato all’attenzione dell’FBI nel 1932 per aver incontrato a Palermo i capimafia Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo per conto del Sindacato Nazionale del Crimine, termine giornalistico per indicare un progetto di alleanza criminale italoamericana ed ebraica intrapreso tre anni prima con lo scopo di organizzare i gruppi gangsteristici sotto il presidio di una commissione, l’antenata di quella che verrà poi conosciuta come cupola: furono le basi per la fondazione di Cosa Nostra, il modello di una mafia moderna che venne poi esportato in Sicilia per riformare l’Onorata Società. Tra i gruppi fondanti di quell’organizzazione ibrida italiana ed ebraica spiccava l’Anonima Omicidi di Lepke Buchalter, nato a New York da genitori russi d’origine ebraica, e di Albert Anastasia, emigrato a diciassette anni da Parghelia – al secolo in provincia di Catanzaro, adesso di Vibo Valentia – nel 1917, che durante i primi anni di carriera criminale veniva dispregiativamente chiamato dai siciliani il calabrese. Era il tramonto dell’era gangsteristica, dopo anni di faide e tentativi malriusciti dell’Onorata Società di mantenere il comando sui suoi affiliati emigrati negli USA che, cavalcando l’onda del proibizionismo, ne approfittavano per raggiungere un’autonomia economica e organizzativa. Anche la Picciotteria non fu da meno: mentre i siciliani si ostinavano a mandare figure come Joe Masseria e Salvatore Maranzano per imporre il controllo – con esito fallimentare: entrambi gestirono gli affari delle rispettive famiglie autonomamente dalla Sicilia e raggiunsero il culmine scontrandosi tra loro nella cosiddetta “guerra castellammarese”, conclusa con l’uccisione di entrambi e l’ascesa della nuova guardia italoamericana capeggiata da Lucky Luciano, ritenuto il fondatore ufficiale di Cosa Nostra – i calabresi emigrati aiutavano Al Capone nell’importazione illegale degli alcolici dal Canada; e quelli rimasti in patria, con la mediazione di Frank Costello, esportavano la melassa da Palmi affinché il Sindacato Nazionale del Crimine potesse produrre l’alcol in proprio. E già da un decennio, per merito del brigadiere dei carabinieri Giuseppe Delfino, negli atti giudiziari su un’organizzazione di San Luca operante a borgata Pardesca di Bianconovo – l’odierna Bianco – compariva il nome Ndranghiti, che rimanda alla definizione siciliana di interiora, ‘ntrànchiti.
Non è necessario proseguire con un resoconto dei fatti di ‘Ndrangheta negli anni successivi, che meriterebbero degli approfondimenti appositi e più accurati di un articolo; è sufficiente comprendere l’internazionalità storica della ‘Ndrangheta con quanto esposto finora, e considerare che sin dalla Commissione internazionale sull’oppio, tenuta a Shangai nel 1909, gli Stati Uniti d’America intrapresero una politica di controllo e limitazione delle droghe che portò al divieto di produzione, importazione ed uso di eroina nel 1925. La nuova guardia italoamericana colse la palla al balzo per incentivarne la produzione in Italia, soprattutto nelle regioni settentrionali, dove già operavano malavitosi marsigliesi nel contrabbando di parmigiano verso la Francia; è facile intuire il passaggio dal trasporto di parmigiano a quello di droga. A questa proficua coincidenza si aggiunse il divieto di produzione dell’eroina in Italia nel 1951, su sentita sollecitazione degli USA, che consentì alla criminalità corsa e marsigliese di trasformare la città di Marsiglia in uno dei principali centri di raffinazione ed esportazione di eroina al mondo, insieme alla Turchia e all’Egitto. In pochi anni, ai trasporti di oppio che avvenivano costantemente attraverso la Siria e Beirut per la produzione di morfina base in Libano, si aggiunsero le tratte aeree da Saigon a Marsiglia, per un investimento dei contrabbandieri marsigliesi e corsi in voli charter durante la Prima Guerra d’Indocina, e tratte marittime per trasportare l’eroina dal Cairo a Brooklyn. In questo affare internazionale, l’ormai attempata Onorata Società ricopriva il ruolo di garante e intermediaria con le autorità giudiziarie; dall’assenza d’interesse diretto nel narcotraffico nasce l’ennesima castroneria romantica della mafia moralista di una volta che sarebbe stata contraria alla droga, ma nascono anche nuovi ruoli mafiosi: i custodi. Come avviene ancora oggi nel narcotraffico internazionale, i venditori e i compratori si “scambiano” un ostaggio in attesa che l’affare vada in porto; nel caso in cui gli uni o gli altri non dovessero rispettare gli accordi, il malcapitato ha la sola possibilità di tornare a casa un pezzo per volta. All’epoca non mancavano i rifugi per custodire gli ostaggi, sia in Sicilia che in Calabria.
Il 21 gennaio 1962 la squadra narcotici di New York compì un’importante operazione a danno dei marsigliesi, così eclatante che lo scrittore Robin Moore coniò il termine French Connection – dal suo libro-inchiesta, che diverrà il termine per definire l’epoca del monopolio marsigliese – e il narcotraffico subì un brusco rallentamento che si ripercosse su tutti i ruoli criminali designati, compresi i custodi calabresi che, ormai ben abituati ad avere a che fare con gli ostaggi, non vollero perdere l’allenamento: il 2 luglio 1963 sequestrarono un imprenditore e intascarono il riscatto. Nel 1971 gli Stati Uniti d’America e la Francia instaurarono una cooperazione ufficiale a cui seguì un biennio costellato di arresti e confische che furono determinanti per il declino definitivo del narcotraffico marsigliese, estendendo le operazioni fino in Sud America, dove operava come garante Tommaso Buscetta, che venne infatti arrestato dalle autorità brasiliane nel 1972 e dodici anni dopo tornò in Italia per rivelare a Giovanni Falcone quel fenomeno che era ormai diventato Cosa Nostra. Stessa carenza di lavoro per i custodi, stessa conseguenza: il 10 luglio 1973, a Roma, fu rapito il ricco sedicenne irlandese John Paul Getty III, nipote del petroliere Jean Paul Getty, e stavolta la firma del sequestro fu esplicitamente della ‘Ndrangheta. Se gli anni Sessanta conobbero i custodi calabresi come dei sequestratori occasionali, gli anni Settanta rivelarono la capacità organizzativa ‘ndranghetista, in grado di avviare uno dei periodi più significativi della Prima Repubblica: quello dei sequestri di persona. Un particolare: il primo nascondiglio di Getty fu una cantina presso la stazione di Sicignano degli Alburni, in provincia di Salerno. Anche il territorio campano era familiare ai calabresi, così tanto che proprio nello stesso anno le ‘ndrine in ascesa dei De Stefano, Piromalli e Mammoliti raggiungevano un accordo con la nascente organizzazione camorristica di Raffaele Cutolo dopo tre anni di trattativa; un incontro che influì parecchio sulla ritualità di quel nuovo disegno criminale, come testimonia il rituale registrato in un’audiocassetta rinvenuta nella tasca di Giuseppe Palillo, detenuto nel carcere di Novara e affiliato alla Nuova Camorra Organizzata. Per questa ragione il rituale cutoliano è ancora oggi denominato da chi si occupa di camorra come “Il giuramento di Palillo”:
Battezzo questo locale come lo battezzarono i nostri tre vecchi antenati. Se loro lo battezzarono con ferri e catene, io lo battezzo con ferri e catene. Alzo gli occhi al cielo, vedo una stella volare, è battezzato il locale. Con parole d’omertà, è formata società.
Da notare la somiglianza coi rituali ‘ndranghetisti:
A nome dei nostri vecchi antenati, i tre cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, battezzo questo locale se prima lo riconoscevo per un locale che bazzicavano sbirri e infami, da ora in poi lo riconosco per un luogo sacro, santo e inviolabile, dove può fermare e sformare questo onorato corpo di società.
(Rituale di Vibo Valentia)
Calice d’argento, ostia consacrata, parole d’omertà è formata società.
(Rituale di Rosarno)
È difficile ricostruire l’evoluzione del potere della ‘Ndrangheta nel corso del Novecento e la sua autonomia da Cosa Nostra, soprattutto perché la vecchia guardia capitanata dalle ‘ndrine dei Macrì e dei Tripodo – in evidenti relazioni coi siciliani, tanto che il capobastone Domenico Tripodo fece da compare d’anello a Totò Riina – fu sbaragliata da una faida che tra il 1974 e il 1977 provocò duecento morti e la vittoria indiscussa dei De Stefano, a cui si presume che Raffaele Cutolo fosse addirittura affiliato. D’altronde, l’uccisione di Domenico Tripodo avvenne nel carcere napoletano di Poggioreale, eseguita proprio dalla Nuova Camorra Organizzata di Cutolo e, coerentemente a questi fatti, Tommaso Buscetta dichiarò che Cutolo avesse rifiutato l’affiliazione a Cosa Nostra. In questo scenario che sembra suddividere le mafie tra alleati dei corleonesi e alleati dei cutoliani, è certo che la Nuova Camorra Organizzata tentò di unificare i gruppi camorristici in un’unica realtà che si potesse espandere fino in Puglia, e questo tentativo costò una lunga e sanguinaria faida coi gruppi avversi al progetto cutoliano, che nel 1978 si riunirono nella Fratellanza Napoletana, meglio conosciuta con la denominazione giornalistica di Nuova Famiglia. A proposito dei rapporti mafiosi controversi di quegli anni, è opportuno tenere presente che su dieci clan camorristici che componevano questo schieramento, ben cinque erano affiliati a Cosa Nostra. Nel frattempo, la Sicilia non godeva certo di un clima differente: il Clan dei Corleonesi di Luciano Liggio e Totò Riina aveva iniziato a seminare morti dal 1969, nel perseguimento di un golpe interno alla mafia siciliana che negli anni Ottanta scatenò la cosiddetta “mattanza”. E mentre le faide dei siciliani e dei campani imperversavano con ampi spargimenti di sangue contro le fazioni avversarie e contro lo Stato Italiano, i calabresi reinvestivano i proventi dei sequestri di persona nel narcotraffico internazionale e se ne assicuravano man mano quel primato che detengono ancora oggi, una miniera d’oro che gli ha permesso di costituire una solidissima base per innalzare sempre di più il proprio vertice di cui adesso fatichiamo a identificare una cima, di cui adesso possiamo esser certi della sua unicità sul panorama delle mafie.
Mentre il mondo politico milanese è in subbuglio e il consiglio comunale istituisce un suo comitato antimafia, la polizia esegue un’operazione parallela alla “Duomo Connection”, l’operazione “Fior di loto”. Questa volta è la mafia calabrese a spacciare la cocaina e a riciclare i soldi in aziende insospettabili. […] La questura parla di una banda con forti capacità d’infiltrazione istituzionali.
(Speciale TG1 Milano da mangiare, 1991)
Tuttavia, la Storia insegna che lo sviluppo o il declino di una mafia, così come ogni sua mutazione sostanziale, non avviene mai in circostanze autonome, non è mai casuale, né lineare e, soprattutto, non avviene mai senza un accordo preliminare con le altre. Non è un caso che, quando la droga generò una nuova faida anche tra le ‘ndrine delle nuove leve, tra il 1985 e il 1991, i garanti per ripristinare la pace furono proprio Totò Riina e Leoluca Bagarella, che nel frattempo avevano ultimato il golpe interno a Cosa Nostra.
Il prossimo articolo tratterà le promiscuità mafiose esterne, immediatamente precedenti alla fase dell’assestamento, quelle che probabilmente hanno dato un avvio ufficiale al rumore citato all’inizio di questo approfondimento, necessarie per comprendere quella che ormai è palesemente una confederazione o, forse, un’unica mafia riunita.
I soldati non sanno che appartengono tutti a un’unica organizzazione. Lo sa il vertice. Altrimenti uno come me che girava l’Italia avrebbe conosciuto tutti, e invece non deve essere così. È il vertice che deve conoscere.
(Leonardo Messina alla Commissione Parlamentare Antimafia, 4 dicembre 1992)
per approfondire ecco i due link di altri due articoli che trattano l’argomento
https://www.leculture.it/cultura/prima-parte-di-mafie-memorie-e-fantasia-le-origini-di-un-fenomeno/
https://www.leculture.it/cultura/seconda-parte-mafie-memorie-e-fantasia-le-origini-di-un-fenomeno/
Questo l’articolo che continua seconda parte: