Cecilia Marchese: una tessitrice di memorie della Sicilia Preistorica e Protostorica

“Sul mio profilo Facebook mi sono definita poetrice, sacerdota futurarcaica, ipersensibile. Sono termini che rimandano soprattutto alla mia sfera personale. Se invece in riferimento alla mia attività, al mio lavoro, ecco, sono una tessitrice di memorie, un’aeda contemporanea”

Cecilia si racconta come un fiume in piena di quelli che la Sicilia arcaica ne era così intricata che esistevano anche dei porti fluviali: non è possibile arginarla e neanche me lo sono chiesto tanto da farle pure una meravigliosa intervista video che troverete alla fine di questa intervista scritta.
“Allora, io servo la mia terra, come posso. Cerco di dare il mio contributo, per quanto piccolo.
Sono visceralmente legata alla Sicilia. Che non è soltanto un’indicazione geografica, o un’isola bellissima, o un casino di problemi. Come aveva intuito Sciascia, è metafora.
La Sicilia è un meta-luogo. È un continente, non un’isola, è perfettamente rappresentativa del mondo. La Sicilia è un microcosmo, uno specchio del mondo. È un varco per l’Oltre. È, come ho scritto una volta, “una categoria dello Spirito”.
Non voglio che queste mie parole vengano interpretate come banale campanilismo. Non ci sarebbe nulla di più falso. La Sicilia può risplendere della sua straordinaria unicità proprio perché è inserita in un contesto ben preciso, trae potere anche da ciò che la circonda.
Basta osservare una semplice cartina geografica. Ci hanno abituati a pensarci “periferia”, “profondo sud”, come selvaggi arretrati incapaci di elaborare una propria civiltà, condannati ad essere sottoposti a una litania infinita di “dominazioni”.
S.B.: Quali sarebbero queste “dominazioni”? Quale “periferia”? “Sud” di cosa, di chi?
C.M.: È questione di prospettiva. Ogni narrazione, ogni storia che si racconta è un punto di vista.
La Sicilia ha una posizione centrale nel Mediterraneo, questo meraviglioso continente di acque, e si trova tra i tre grandi Vecchi Continenti: Europa a nord, Asia a est, Africa a sud.

S.B.: Pensate che questa posizione non abbia mai avuto nessun impatto sul resto del mondo?
C.M.: Perciò, come dicevo prima, è tutta una questione di storie. Di raccontare le storie nel modo giusto. Non un modo giusto assoluto, che non esiste. Ma di modificare un punto di vista ormai radicato nel cuore della massima parte dei Siciliani, prendendo coscienza o, meglio, riprendendo coscienza della propria natura.
I Siciliani, ormai da troppo tempo, si percepiscono attraverso occhi estranei, quelli che hanno scritto i libri delle nostre scuole e naturalmente l’immagine che proviene da occhi estranei e per di più interessati, non certo in buona fede, è un’immagine distorta. Una narrazione distorta, che non ci aiuta, ci butta giù, ci mette in condizioni (come diceva Zitara) di “minorità”. Di inferiorità. Gli studi etnopsichiatrici di Frantz Fanon su “i dannati della Terra” sono pienamente applicabili al contesto siciliano.
I Siciliani sono stati sconfitti. Hanno vissuto un grande trauma storico. E hanno perso la memoria.
Adesso, tornando a noi, poiché in questa sede non è il momento di dilungarci in una discussione di ordine politico, seppure in senso nobile, allargato, ecco, il mio lavoro è quello di recuperare schegge di questa memoria, schegge che emergono dal passato più arcaico, un passato remotissimo e che pure fonda ancora la dimensione immaginale più profonda del Siciliano.
Le memorie che affiorano disordinatamente io le colgo e, rintracciando tra loro nessi caduti nell’oblio, le tesso in una tela, le ricucio nell’ordito della postmodernità, per contribuire a restituire alla nostra terra e ai suoi abitanti una narrazione più radicata, più profonda, mi auguro più verace.
S.B.: Questa, quindi, sarebbe la “tessitrice di memorie”.
E l’aeda post-moderna?

C.M.: È questa stessa attività. Un’attività creatrice, mito-poietica. La mia opera, prima ancora che una ricerca, è una celebrazione della Sicilia. Io canto la Sicilia. Sono convinta, con gli antichi, che la poesia, il canto (in senso allargato) permettano una conoscenza più diretta dell’essenza.
Naturalmente non si può fare a meno di uno sguardo, di una prospettiva. L’oggettività assoluta non esiste se non nel molteplice, nella pluralità. Ma il mio sguardo, la mia prospettiva sono pur sempre quelle di una Siciliana…
S.B.: Quindi ecco, a fondare la tua attività è la Sicilia.
Noto anche, nel tuo lavoro, una grande enfasi sul cosiddetto “Femminile Sacro”, e sulla donna.

C.M.: A Sicilia jè Fimmina ! A vidi cche bedda, come la grande Dea indiana Kali, che tira fuori la lingua? A proposito di Induismo o, meglio, per chiamarlo col nome che gli danno in India, di Sanatana Dharma la Sicilia è uno Shakti-peeth. Un Luogo di Potere, insomma.
E, per quanto la Sicilia per molti secoli sia stata viziata, del resto come tanti altri Paesi, da forme particolarmente repressive di patriarcato, la sua impronta primordiale è femminile. Non voglio addentrarmi nella solita querelle patriarcato vs. matriarcato, che poi si viene spesso fraintesi. Preferisco un discorso più profondo: ovvero, tornando a quello che dicevo prima, al ri-conoscimento. Al ri-conoscere la dimensione femminile del nostro immaginario che, certo, nei tempi più remoti si incarnava in una società nella quale le donne e i culti “al femminile” rivestivano uno spazio privilegiato, per riportare un equilibrio proprio in questo nostro immaginario che è ferito, lacerato. Del resto, se il “Femminile” non viene riconosciuto e pienamente sperimentato per ciò che è, con la massima consapevolezza, anche il “Maschile” ne risente. Ci vuole equilibrio, ristabilire un equilibrio nel subconscio collettivo siciliano profondo, e per farlo è necessario operare con le donne e con gli uomini. Che non è soltanto un discorso di liberazione dell’attività sessuale che ormai, almeno in termini superficiali, è recepito ovunque, e non è neanche un discorso di occupazione lavorativa o di diventare manager di qualche grande azienda… no, è un’opera di autoconoscenza in pieno stile delfico, è un’espansione della consapevolezza, un’integrazione del sottaciuto, del rimosso, del censurato, del dimenticato. Insomma per dirla genericamente in termini junghiani dell’Ombra per ritrovare il proprio posto, e allora… una volta che si ritrova il proprio posto all’interno del mondo, si può volare!
S.B.: Stai definendo la tua riflessione come un percorso di espansione della coscienza e, soprattutto, di guarigione. Che influenza ha la dimensione spirituale in tutto ciò?
C.M.: La dimensione spirituale è tutto. Io mi sono avvicinata allo studio del mito e del rito non per semplice interesse intellettuale, ma perché cercavo gli Dei.
E poi, andare oltre gli Dei…
S.B.: Abbiamo dato le coordinate della tua attività. Ora raccontaci quello che fai. L’attività nell’ambito della ricerca archeomitologica e il tuo romanzo.
C.M.: Partiamo con l’archeomitologia. Mia madre, quando si sposò, era stata incaricata di dirigere gli scavi di Leontinoi con il prof. Rizza. Pochi mesi dopo il matrimonio, restò incinta di me. Rifiutò l’incarico e… la sua carriera di brillante archeologa, che era partita in quinta, finì.
Mia nonna, insegnante di ginnasio, quando ero bambina invece di prepararmi la torta di mele mi raccontava di Ulisse, Achille, Elena…
Nella mia famiglia di origine sono quasi tutti letterati classici. Perciò io non ho voluto fare l’archeologa, una forma di… ribellione ! E del resto non ho sbagliato, la catalogazione dei reperti, brocca ansata, attingitoio con collo allungato ecc. non fa per me. Ma per l’opera che promuovo l’archeologia è fondamentale. Ho carissimi amici archeologi con cui ci consultiamo, ci confrontiamo.
Tutti associano l’archeologia siciliana ai templi di Agrigento, al teatro greco di Siracusa. Appunto, ai greci, ai greci, greci dappertutto.
Questa storia non mi convinceva.
Poi, tra l’incontro “spirituale” con Pier Paolo Pasolini e i suoi film dedicati al mondo mediterraneo arcaico – la mia tesi di laurea è una monografia sul suo mediometraggio “Appunti per un’Orestiade Africana” – e l’incontro col migliore analista geopolitico siciliano, Mario Di Mauro, che ha scritto anche un libricino in cui compaiono questi misteriosi “Sicani”, ecco. Ho scoperto che esiste una “Sicilia prima dei Greci”, per dirla con Bernabò Brea… e che Sicilia!
La dimensione immaginale siciliana nasce proprio da lì. Non dai templi di Agrigento, né dal teatro “greco” di Siracusa.
Una Civiltà Siciliana raffinata, tecnologicamente avanzata, ricca e… felice. E’ esistita per millenni, ma non ha mai attirato l’interesse di studiosi e operatori culturali perché, immagino, non compresa. A causa dei famosi “filtri”, delle lenti con cui ci guardiamo, per cui una Civiltà che non costruisce grandi templi e palazzi, con sovrani assoluti che nuotano nell’oro e masse di schiavizzati non ha importanza.
S.B.: Quindi si tratta della Preistoria e Protostoria siciliana, no?
C.M.: Sì, esatto. Un arco di tempo che arriva fino agli albori dell’Età Arcaica.
Il mio gruppo Facebook si chiama “Sicilia Preistorica e Protostorica, Centro del Mediterraneo”.
Lo fondai 6 anni fa quasi per gioco, per condividere il mio interesse con i pochi che si sarebbero iscritti… invece mi ha stupito, è stato un grandissimo successo, mi ha permesso di esplorare parti della Sicilia e siti archeologici sconosciuti che altrimenti ignorerei, e di incontrare persone fantastiche… ci sono dentro bravi professionisti che danno il loro contributo forti delle loro competenze, come appassionati cultori locali, con straordinaria conoscenza del territorio e tanti, tantissimi curiosi estremamente interessati.
Due anni fa, proprio perché ormai sentivo che fossimo diventati una vera comunità virtuale, decisi di trasformarla anche in una comunità fisica, di persone che si conoscono e condividono quest’interesse.
Così lanciai la prima gita, alle Grotte della Gurfa nei pressi di Alia, basse Madonie. Un palazzo-santuario megalitico che risale almeno al tempo della leggendaria guerra di Troia. Oltre 60 partecipanti intervenuti.
E da lì, seppure non regolarmente, abbiamo iniziato cicli di visite… ecco, camminiamo la nostra memoria, camminiamo la Sicilia, scoprendo anche noi stessi attraverso la memoria condivisa.
S.B.: Pensi che sia questa la chiave del successo di quest’attività?
C.M.: Penso proprio che sia il suo approccio trasversale e “profondo”. Che non si limita all’archeologia. L’archeologia è fondamentale per quello che faccio, ma è uno strumento. Da sola, l’archeologia spesso non basta, o comunque va integrata con altre discipline. Lo studio del mito e del rito, la storia delle religioni, l’antropologia, la filologia e, soprattutto, quello che penso abbia colpito di più, il fatto che mi faccia aiutare dal mito, dal rito, insomma dalla tradizione sapienziale per “leggere” questo passato remoto. Nell’ottica di prepararci a costruire il nostro futuro con maggiore consapevolezza.
S.B.: Ecco, la spiritualità, la tradizione sapienziale.
Che, mi sembra, si rifletta nel titolo del romanzo a cui stai lavorando.

C.M.: Proprio così! Tra l’altro parlare del mio romanzo, anche se ancora in fase di stesura, mi permette di presentare facilmente i capisaldi della mia attività.
Il titolo, provvisorio, ma mi sa che lo manterrò è “La Donna Azzurra. Il Fuoco e l’Acqua: Storia di Sikane e di Sikani”. Il rimando alla Coniunctio Oppositorum è evidente, ed è un ritornello che scandisce tutta l’opera.
S.B.: Di cosa si tratta? Parlaci un po’ di questo romanzo.
C.M.: Il romanzo nasce come sviluppo di un’intuizione.  ambientato tra la Sicilia e l’Egitto di 4000 anni fa. In Egitto ci troviamo all’epoca del faraone Sesostri I, siamo all’alba della Prima Dinastia del Medio Regno, mentre in Sicilia fiorisce quella che in termini archeologici viene chiamata Cultura di Castelluccio, piena Età del Bronzo Antico. Ecco, se voi girando per la Sicilia vedete tutte quelle aperture sulle rocce, quelle tombe che forano i costoni come gli occhi di un teschio o le celle di un alveare, ecco, quelle “tombe a grotticella” sono per lo più caratteristiche della Cultura di Castelluccio, per quanto culture successive ne continuarono la tradizione.
Allora, io identifico in questo popolo castellucciano l’antico popolo dei Sicani che, dopo i leggendari Ciclopi e i Lestrigoni, furono i primi abitatori storici della Sicilia.
In realtà nessuno sa con sicurezza se i Sicani corrispondessero proprio alla Cultura di Castelluccio, ma il mio intuito dice così e, del resto, sto scrivendo un romanzo, non un  saggio, per quanto “agganciato” alla storicità di siti e reperti.
C’è da dire che tante ipotesi archeologiche che ho inserito nel libro si sono rivelate poi veritiere, confermate nei fatti da ritrovamenti avvenuti in seguito…!
S.B.: Quindi cosa fanno questi Sikani ?
C.M.: Un mio amico, persona brillantissima che mi segue passo passo quando scrivo, leggendomi e dandomi il suo parere, mi dice che il mio romanzo è un po’ un anti Tolkien!
Dove in Tolkien i protagonisti sono al maschile, le mie sono perlopiù donne, anche se naturalmente ci sono importanti personaggi maschili che mi piacciono molto.
Il romanzo si apre con un’ex sacerdotessa sicana, molto anziana, che racconta la sua storia ai sacerdoti del tempio di Ua-djet, la Dea Cobra a Buto, importante città egizia. La storia che lei racconta riguarda l’iniziazione e il percorso spirituale di una giovane sicana di cui lei era stata maestra… la ragazza diventerà una Dea, ossia come diremmo oggi, una “realizzata”. Durante questo percorso, naturalmente, ne succederanno di cotte e di crude.
S.B.: Quindi il tuo romanzo descrive un percorso iniziatico?
C.M.: È un po’ difficile inquadrare il mio libro in un genere. Non può essere un romanzo storico per ovvi motivi, non abbiamo fonti storiche che testimonino vita e avvenimenti siciliani del II millennio a.C., ci dobbiamo attenere a ciò che ci arriva dalla valutazione dei dati archeologici e ricostruire la dimensione immaginale di quella gente risalendo attraverso l’allusione a miti, riti, personaggi che viene fatta in epoche successive, o attraverso la comparazione con altre zone del Mediterraneo di cui sappiamo qualcosa in più. C’è molta magia, anzi preferirei dire, più correttamente, c’è del numinoso nel mio romanzo, ma questo non ne fa un fantasy che, come dice lo stesso termine, sono opere puramente di fantasia, inventate.
E non è neanche un romanzo strettamente esoterico poiché non mi riallaccio ad una tradizione omogenea. Vado avanti sul filo di ciò che… ascolto.
S.B.: Che “ascolti”?
C.M.: Sì. Non “invento” nulla.
Quando sento che è il momento mi metto in ascolto, come una radio ricetrasmittente, capto il segnale e lo trascrivo sulla pagina. In seguito posso certamente modificare qualcosa, aggiungere qui, togliere lì, correggere… ma non si tratta di interventi “strutturali”.
La cosa buffa sai qual è ?
Che prima o poi, in qualche modo, quello che scrivo si verifica davvero. In forma simbolica a volte, attraverso coincidenze, sincronicità, spesso anche vistose.
Per esempio: fino a pochi anni fa si pensava che la preparazione del vino e dell’olio in Sicilia non fossero state introdotte prima della metà del II millennio. A me tutto ciò sembrava assurdo. Olio e vino altrove nel Mediterraneo sono le basi del vivere già da sette, ottomila anni. In Grecia sì e in Sicilia no? Assurdo.
E quindi, fregandomene beatamente delle attestazioni archeologiche, mostro i miei personaggi alle prese con coppe colme di vino a divorare cibi ben conditi con olio di oliva. Ebbene, nel giro di pochi mesi ritrovamenti archeologici improvvisi hanno retrodatato l’introduzione della vinificazione e del processo di preparazione dell’olio al Neolitico, e siamo almeno a 6000 anni fa. Puff, beccato !
Poi ci sono state altre risonanze più legate alla sfera personale… per ora ci limitiamo a notare queste.
S.B.: Dicevi che il tuo amico “editor” ha definito il tuo romanzo un “anti-Tolkien”.
Solo perché più centrato su protagoniste femminili ?

C.M.: Beh anche, ma non solo. Se Tolkien è ambientato tra le pallide brume del Nord, il mondo del mio romanzo è il Mediterraneo, un tripudio di luce, di colori, di sapori. È un mondo gioioso.
Inoltre Tolkien è molto puritano. Divide il suo mondo in bene e male, generalmente con una linea abbastanza rigida per quanto, essendo uno scrittore profondissimo, non sia caduto nella trappola dei solo buoni vs. solo cattivi!
Nel mio romanzo la dimensione morale è più sfumata. Non mancano cattivoni, lotte per il potere, intrighi, tutto questo specialmente in relazione alla parte che si svolge in Egitto, ma i miei personaggi hanno una dimensione etica diversa da quella che auspicheremmo nel mondo contemporaneo.
S.B.: Qual è la difficoltà più grande che affronti nella scrittura ?
C.M.: Certamente proprio questa: fare vivere personaggi vissuti 4000 anni fa, evitando di finire come certi autori di romanzi storici o fantasy che fanno muovere i loro protagonisti come se fossero nella Manhattan del XXI sec. d.C.!
No, la psiche di una donna, di un uomo dell’Età del Bronzo è diversa. Il suo rapporto col mondo diverso. E immedesimarcisi, farlo emergere non è sempre facilissimo per chi vive l’epoca del post-capitalismo !
Perciò ho adottato un tipo di linguaggio tutto mio.
S.B.: Che linguaggio ?
C.M.: È arcaizzante. Non può essere il linguaggio di una persona vissuta in un passato remoto perché io non vivo in un passato remoto. Ma utilizzando lessico e sintassi desuete, ricercate, faccio percepire al lettore la distanza tra il suo mondo e quello della storia che sta leggendo.
Per questo il libro non diventerà mai un best-seller!
S.B.: E noi invece ci auguriamo che, nonostante l’aspetto forse non proprio commerciale, lo diventi! Io ad ogni modo, leggendone alcuni tratti, ho riscontrato anche tracce di un realismo molto vivace, quasi goliardico in certi dialoghi.
C.M.: Certo! È vero! Anche questo fa parte del mondo che racconto. Un mondo in cui la dimensione numinosa vive attraverso la fisicità dei corpi, del sesso, dell’ambiente naturale.
S.B.: Un mondo pagano ma non nel senso olimpico, classico, che già è più vicino al nostro razionalismo. Il mondo del tuo romanzo è molto più arcaico!
C.M.: Sì. È permeato di sciamanesimo, di magia. Una magia non ancora separata dalla funzione raziocinante. Sacro e profano, insomma, nel mondo del mio romanzo coesistono e si manifestano nella grande Dea Cosmica.
S.B.: Le tracce del cui culto sono evidentissime in tutta la Sicilia!
C.M.: Già. Fino ai nostri giorni. I nostri “devoti” catanesi, Sant’Agata… gli uomini che entrano letteralmente in trance nei giorni consacrati a Isis Agathae, Iside la Buona!
Santa Rosalia a Palermo con la sua grotta, Santa Lucia a Siracusa, che è proprio Persefone, la Luce, Aretusa… tempo fa ho dedicato uno dei miei articoli alla Dea di Siracusa. Se Catania, Katane è la mia matria biologica, Syraka è quella spirituale, e nel mio libro se ne parlerà tanto.
Sai anche che alcuni degli stemmi dei comuni siciliani sono rivelatori degli antichi culti pre/protostorici?
S.B.: Interessantissimo. Ad esempio?
C.M.: Lo stemma del comune di Cammarata presenta proprio la Dea dei Serpenti, come quella minoica, conosciuta a Creta, altrove e naturalmente in Sicilia!
Oppure lo stemma di Gangi… col Minotauro messo lì in bella vista…
S.B.: Incredibile!
C.M.: Eh già. La Nostra Bedda Sicilia. Arcaica in pieno 2022! Futurarcaica, come piace definirla a me. E poi sono futurarcaica io…
S.B.: È vero. Nel tuo libro, che rispecchia la tua persona, operi una sintesi tra ancestrale e posterità.
C.M.: Mi auguro che funzioni! Io ci provo oppure, per meglio dire, non riuscirei a essere e fare diversamente.
S.B.: Un’ultima domanda sul tuo romanzo. Dove si svolge, esattamente, la parte ambientata in Sicilia?
C.M.: Allora la parte più rilevante si svolge nell’entroterra di Augusta. Lì ho situato la città di origine delle mie protagoniste, Erbesso, in corrispondenza col sito archeologico del Villaggio del Petraro e Timpa DDieri. In realtà monete che recano il nome della città sono state rinvenute molto più lontano ma io, rifacendomi ai racconti degli autori classici, continuo a pensare che vi fossero diverse Erbesso e che una fosse proprio lì. Naturalmente non è detto che lo sia. Lo sento, piuttosto.
Poi molto spazio lo dedico, come ti avevo già detto, a Siracusa e in particolare alla mia amata Ortigia, Hortyx, l’Isola della Quaglia, hortyx, antico termine preellenico incastonato nel greco, significa “quaglia” ed è sempre lei, un’ipostasi della Dea.
Il resto è un lungo itinerario che tocca tutti e tre i “valli” nei quali la Sicilia è stata tradizionalmente, e correttamente suddivisa: Val Demone, Val di Noto, Val di Mazzara. Vi potrete divertire a riconoscere i luoghi. Dal santuario dell’Argimusco coi Ciclopi alla Rocca di Cerere a Enna…
S.B.: Ciclopi?
C.M.: Certo! Se leggete il libro li incontrerete, sennò che divertimento c’è?
S.B.: Hai altri progetti futuri?
C.M.: Quando avrò concluso con questo romanzo, ormai dopo diversi anni sono in drittura d’arrivo, pubblicherò un saggio breve su Kokalos, il mitico re dei Sicani, di cui naturalmente si parla nel romanzo… eh la storia d’amore con tanto di Hieros Gamos non può mancare !
Poi vorrei attivare un sito web in cui raccogliere gli articoli che finora ho pubblicato su Facebook, affinché li possa consultare anche chi non usa i social.
Naturalmente proseguo la mia attività col gruppo archeologico, con la mia socia di Petralia Soprana, Antonella Germano Brucato, che conosce il territorio delle Madonie palmo a palmo, vogliamo farne un’associazione culturale… e infine c’è il mio impegno nel Progetto Parco Madonie, collaboro con piccoli comuni madoniti ancora lontani dal circuito turistico per la valorizzazione dei loro comprensori. Io mi occupo, in particolare, dell’elaborazione di percorsi archeo-etnoantropologici.

 

 

Exit mobile version