Mario Guglielminetti ci racconta Alfred Jarry, il superuomo delle lettere

A 150 anni dalla nascita, le gesta e le opinioni del drammaturgo e scrittore francese che mischiava l’assenzio con una goccia d’inchiostro

La scrittrice Rachilde nel sua biografia su Alfred Jarry chiamava l’amico drammaturgo “Le surmâle de lettres”, parafrasando il titolo di un’opera di Jarry e un po’ se stessa che si definiva “Homme de lettres”. Alfred Jarry ha sempre saputo suscitare interesse, soprattutto all’interno dell’incredibile cerchia di intellettuali e di artisti che, a diverso titolo, entrarono in contatto con lui a partire dal 1894 fino alla sua morte nel 1907: Guillaume Apollinaire, Pablo Picasso, Henri Rousseau le Douanier Stephane Mallarmé, Max Jacob, Pierre Bonnard, Paul Fort e Filippo Tommaso Marinetti.

Jarry nasce a Laval l’8 settembre 1873 da una famiglia piccolo borghese e grazie alla madre, donna eclettica ed eccentrica, matura un interesse precoce per il teatro. A quel tempo la cultura francese era stata trasformata da Charles Baudelaire, morto nel 1867, ed è sconvolta dalla relazione intellettuale e privata tra Verlaine e Rimbaud. Ma la figura che inciderà su Jarry e sulle avanguardie letterarie successive in modo forse più dirompente è quella meno nota del poeta Lautréamont, pseudonimo di Isidore Lucien Ducasse, morto nel 1870 a 24 anni, autore dei “Chants de Maldoror”.

Jarry frequenta le scuole superiori a Rennes e qui entra in contatto con la cultura goliardica studentesca che sbeffeggia e ridicolizza i professori per la loro postura e il loro modo di parlare. Arrivato a Parigi nel 1891 per completare senza successo i suoi studi, Jarry si fa notare come scrittore e comincia a collaborare con “L’Écho de Paris”, rivista diretta da Catulle Mendès e Marcel Schowb, visita assiduamente le gallerie d’arte e incomincia a scrivere recensioni sulla rivista ’L’art littéraire’. Fa amicizia con Alfred Vallette, direttore della rivista Mercure de France, e con sua moglie, la scrittrice Rachilde, sua grande sostenitrice e forse amante.

Jarry continua a interessarsi di teatro e in questo periodo scrive l’opera “Ubu roi”, riprendendo la parodia studentesca sul suo professore di fisica al liceo Pere Hébert, il cui cognome, più volte storpiato, sintetizza in Ubu: un uomo grasso, con una digestione senza fine, presuntuoso e grottesco. L’idea di farne un re Jarry la prende dalla letteratura greca dall’Edipo Re di Sofocle. La sua pièce teatrale viene rappresentata per la prima volta a Parigi nel 1896; Jarry ha 23 anni e diviene immediatamente un caso culturale, capace com’è di mescolare provocazione, farsa, parodia e umorismo sboccato: celebre come trasformi l’intercalare popolare “merdre” in “mrdra”, parola che Ubu roi pronuncia continuamente quando inveisce. Guillaume Apollinaire così lo descrive: “Alfred Jarry mi apparve come la personificazione di un fiume, un giovane fiume senza barba, in abiti bagnati da annegato. Baffetti cadenti, redingote dalle falde ciondolanti, una camicina leggera e scarpe da ciclista: tutto aveva qualcosa di tenero, di spugnoso”. Ubu roi diviene una saga, un almanacco, e viene pubblicato e rappresentato nelle sue varie versioni fino al 1906. Jarry incarna la vita bohème, non convenzionale, che a cavallo dell’800 e del ‘900 molti artisti fanno a Parigi. Dal 1898 va a vivere per dei lungi periodi in una baracca sulla Senna – Le Tripode – vicino a Corbeil, una cittadina distante 40 km. da Parigi che raggiunge in bicicletta, la famosa “Clément de luxe 96 course sur piste”, acquistata una decina di giorni prima che Ubu roi andasse in scena e pagata in cambiali che non onorò mai. La bicicletta diventa per il drammaturgo una macchina per scrivere a propulsione muscolare alimentata dall’alcol. “Una volta lanciata nella durata – Jarry diceva – funzionava bene come uno stomaco di uno struzzo”. In questi anni lo scrittore beve smodatamente, conducendo una vita al limite. Secondo Rachilde, Jarry “inaugurava la giornata tracannando due litri di vino bianco per passare, a metà mattinata, a tre bicchieri di assenzio e a pranzo alternare bianco, rosso e fée verte. Nel pomeriggio caffè corretto con acquavite; a cena, dopo vari aperitivi, altri due litri di vino. A volte allungava il liquore di turno con una goccia di inchiostro. Non era forse uno scrittore?”

Nel 1902 esce “Le Surmâle”, romanzo moderno come lo definì Jarry, che affronta il rapporto tra l’uomo e la macchina. Nel libro si trova una delle frasi più celebri di Jarry: “L’amore è un atto senza importanza dal momento che lo si può fare indefinitamente”.

Alfred Jarry muore a Parigi il 1 novembre 1907, a 34 anni, di meningite tubercolare, complicata da denutrizione, mancanza di riscaldamento e smodato uso di alcol e assenzio. Prima di morire chiede in modo irriverente agli amici al suo capezzale, come ultimo desiderio, un cure-dent, uno stuzzicadenti, divenuto a posteriori uno dei simboli del suo personaggio. Viene tumulato nel cimitero di Bagneux, vicino a Parigi. Le sue spoglie come quelle di Lautréamont non sono oggi più rintracciabili.

L’amico ed editore Alfred Vallette, suo esecutore testamentario, pubblica postumo nel 1911 “Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico”, il romanzo neoscientifico a cui Jarry lavorò dal 1899 e che introduce la patafisica. Nell’opera si racconta il viaggio fantastico del Dottor Faustroll, del funzionario giudiziario Panmuphle e della scimmia Bosse de Nage, in una zattera di rame, su un mare che si sovrappone alle strade e agli edifici di Parigi, alla ricerca della superfice di Dio. Invisibili li vegliano dei numi protettori, che rispondono, di volta in volta, ai nomi di Lautréamont, di Mallarmé, di Gauguin, di Verne. La ‘patafisica è una parola che Jarry inventa prendendo spunto dal greco antico e significa «ciò che è vicino (epì) a ciò che viene dopo (metà) la fisica». La ‘patafisica, scritta con l’apostrofo, per Jarry è la scienza delle soluzioni immaginarie: “Essa studierà le leggi che reggono le eccezioni e esplicherà l’universo supplementare a questo; o meno ambiziosamente descriverà un universo che si può vedere e che forse si deve vedere al posto del tradizionale.”

Il libro passa quasi inosservato, ma improvvisamente al termine della Seconda Guerra Mondiale viene riscoperto, divenendo una sorta di guida spirituale per una comunità di scrittori, artisti e intellettuali molto noti, sconvolta dalla guerra e alla ricerca di nuovi modi per capire la contemporaneità. Nel 1948, viene fondato a Parigi il Collège de ‘Pataphysique, una “società di ricerche sagge e inutili”, il cui obiettivo è di “promuovere la ‘Patafisica in questo mondo e in tutti gli altri”. Del Collège fanno parte illustri personalità della cultura, tra cui: Marcel Duchamp, Boris Vian, Georges Perec, Raymond Queneau, Max Ernst, Joan Miró e Jacques Prévert; dall’Italia aderiscono Lucio Fontana, Umberto Eco, Enrico Baj e molti altri.

A distanza di 150 anni dalla morte, in un mondo che ha fatto della complessità irrisolta la sua esegesi, rimane forte il testamento culturale di Jarry, che si può forse esprimere nella sua frase: “l’assurdo esercita lo spirito e fa lavorare la memoria”. Buon compleanno Alfred.

 

 

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