Da pochi giorni è in libreria il nuovo libro di Lorenzo Braccesi dedicato ad Artemisia di Alicarnasso, edito da Salerno.
Braccesi, storico e saggista, già ordinario di Storia greca nelle Università di Torino, Venezia e Padova, non è nuovo alla pubblicazione di colte e godibili biografie di grandi donne dell’antichità, come Livia, Zenobia e Olimpiade, a cui ha dedicato pagine di lucida e documentata ricostruzione storica.
Artemisia. La regina corsara, racconta una figura straordinaria, unica, direi: reggente della tirannide di Alicarnasso, l’odierna Bodrun in Turchia, punto di incontro tra l’Oriente e l’Occidente, e, soprattutto, raro esempio di donna corsara, a capo della flotta Caria che affrontò gli Ateniesi a Salamina. In sostanza, una greca che combatte sotto le insegne del Re dei Re dei persiani, Serse.
Leggendo le sue epiche gesta, raccontate in modo mirabile da Braccesi che sapientemente coniuga rigore scientifico e grande capacità affabulatoria, non ho potuto non trovare nelle vicende di Artemisia numerosi parallelismi con quelle di Macalda di Scaletta, la cortigiana divenuta guerriera, a cui ho dedicato un breve saggio, L’epica della passione. La Sicilia di Macalda di Scaletta, Lisa Puccini e Gammazita, edito da Carthago.
Dalla Grecia delle guerre persiane alla Sicilia degli Aragonesi, il comportamento atipico di donne eccezionali è parimenti vissuto come perturbante. Macalda di Scaletta, infatti, è una donna sui generis nel panorama della Sicilia medievale. Usa a vestire abiti maschili, ad indossare l’armatura mettendosi a capo di una masnada di soldati, adopera la sua intelligenza e le sue arti seduttive per incidere sulla politica siciliana al tempo degli angioini e degli aragonesi, cercando di manipolare il re Pietro III per entrare nelle sue grazie.
Come Artemisia, anche Macalda diventerà una donna di potere a seguito della vedovanza: Artemisia, infatti, morto il marito assume la reggenza di Alicarnasso perché il figlio è ancora piccolo; Macalda, scomparso il primo marito Guglielmo De Amicis, divenuta baronessa di Ficarra, sposa Alaimo da Lentini, ed esercita la sua influenza prima nella cerchia di Carlo I e poi presso la corte di Pietro III.
Come Artemisia dialoga a tu per tu con il grande Serse, conducendo le navi della sua flotta in battaglia, dandogli arguti consigli di strategia militare e, addirittura, criticando l’operato del generalissimo, Mardonio, ottenendo in cambio plauso e stima da parte del Re persiano invece che critiche e umiliazioni, allo stesso modo anche Macalda si fa portavoce delle istanze dei nobili siciliani di tradizione guelfa che si erano espressi nella Communitas Siciliae e rigettavano sia la monarchia degli Hohenstaufen che quella di Carlo d’Angiò. Pietro III, pur comprendendo il disegno di Macalda, usa ogni riguardo nei confronti della signora di Scaletta e intrattiene con lei lunghe conversazioni dove la politica è l’argomento principale.
La figura di Artemisia di Alicarnasso è raccontata principalmente da Erodoto, il “padre della storia”, la fonte princeps delle guerre persiane che, da greco, ammira ed esalta l’operato della regina corsara che combatte per i persiani. Una situazione particolare di cui Braccesi spiega il movente. Ma diversamente da Erodoto, altre fonti, invece, criticano e, addirittura, denigrano Artemisia, bollandola come meretrice o cercando di cancellarne la sua stessa esistenza non menzionandone le gesta (così Ammiano Marcellino, Aristofane, Eschilo). Non si poteva tollerare, infatti, che una donna lasciasse l’ambiente domestico per esercitare il potere e, addirittura, fare la guerra, comandando altri uomini e dialogando con i potenti.
La stessa sorte è toccata a Macalda che denigrata dal messinese Bartolomeo di Neocastro, che, nella Historia Sicula, ne traccia un ritratto a tinte fosche, dipingendola come cinica e dissoluta, senza scrupoli, incline al tradimento umano e politico, spudorata, sessualmente sfrenata e promiscua, è invece esaltata dal cronista catalano Bernat D’escolt che, pur essendo aragonese come Neocastro, nella sua Crònica del Rey en Pere, la definisce «molto bella e gentile, e valente nel cuore e nel corpo; larga nel donare, e, quando n’era luogo e tempo, valida nell’arme al par d’un cavaliero», giustificandone l’atteggiamento seduttivo verso il re poiché ella «ne rimase innamorata come di colui che era valente e aggraziato signore, non già per cattiva intenzione».
E se Artemisia è ricordata anche per la sua arguzia dal momento che per confondere le navi nemiche persiane issava vessilli greci per non essere catturata, analogamente Macalda oltre ad avere aiutato il marito ad organizzare la rivolta contro il potere straniero, è riconosciuta come la prima scacchista donna della storia, sfidando l’emiro Margam Ibn Sebir, realizzando così, anche lei, in un certo senso, un incontro tra Oriente e Occidente.
Artemisia è una figura unica: sovrana di Alicarnasso per due decenni, spericolata capitana di mare, fidata vassalla e consigliera di Serse. L’eccezionalità della sua figura l’ha fatta assurgere a mito e così, Tolomeo Efestione, ne immagina una morte per amore, un suicidio che la assimila in tutto e per tutto alla vicenda della poetessa Saffo. Anche Macalda entra nel mito, anzi nella leggenda, legata in modo indissolubile alla vicenda dell’eroina Gammazita, la cui triste sorte di suicida (indirettamente) per colpa di Malcada, dà vita alla rivolta dei Vespri siciliani. E se le vicende di Artemisia hanno trovato un’eco in epoca moderna solo di recente e in ambito cinematografico, (ricordiamo, ad esempio, L’eroe di Sparta (1962) e 300 L’alba di un impero (2014), al contrario, la figura di Macalda, pur offuscata da pregiudizi e stereotipi, ha ispirato numerose opere letterarie tra cui, in cima a tutte, la VII novella della Decima giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio.
Due donne vissute in due epoche storiche diverse, ma accomunate dalle scelte scandalose delle loro vite fuori dagli schemi e, per questo, condannate all’oblio ed alla damnatio memoriae, almeno fino ad oggi.