Da settimane l’editoria e il giornalismo si affannano a cercare parallelismi con il passato: sia quello che ci ha insegnato qualcosa, sia quello che non ci ha insegnato nulla. O meglio, quel passato nel quale non siamo riusciti a leggere a fondo avvertimenti e significati. Nelle stranezze dette dagli uomini finiamo sempre per ritrovare qualche precorrimento, che sia Tiresia o Cassandra non importa.
Il futuro, cioè il presente di queste settimane che qualche tempo fa veniva scritto e analizzato come futuro da indagatori preveggenti, appare ancor più disordinato dell’oggi, del quale si cerca disperatamente di mettere in ordine i pezzi per poterlo ricomporre e dominare.
Il passato stranamente ci appare ordinato e limpido, intatto e logico; come ormai nel regno della necessità ci appaiono i racconti e i romanzi sugli appestati, che sono diventati i migliori resoconti. E i resoconti, anche i più insignificanti, sono diventati racconti notevoli.
Lo sforzo migliore per poter capire il passato è che esso riaccada nel presente, non tanto perché uno stesso evento debba ripetersi, ma perché almeno di esso se ne ripresenti qualche brandello di significato da poter vivere sulla propria carne. Così, non puoi sapere cosa sia veramente la guerra se non sei “nella” guerra e non puoi sapere cosa sia la pace se non sai vivere e mantenere uno stato di pace con te stesso e con i tuoi simili. Da questo punto di vista i vivi sono fortunati nel poter conoscere in forma contraddittoria cosa sia quello stato di sconvolgimento di vita che in queste settimane appare nella forma di un gioco simulato, all’interno di regole che hanno ancora un sapore amaro di pace. I morti sono stati l’oggetto della partita di una natura che ha dimostrato la sua potenza.