Sciamanesimo e sapienza di Angelo Tonelli

Ovunque, dall’ India alla Cina, al Tibet, all’Africa, alle Americhe, all’Australia all’Europa, negli albori della civiltà, prima ancora dell’affermarsi della scrittura, compaiono le figure dello sciamano e della sciamana, uomini e donne dello spirito, mediatori e mediatrici tra il visibile e l’invisibile per conto della comunità, guaritori e guaritrici, esperti di farmaci e incantamenti, guide spirituali

Lo sciamanesimo non è una religione, ma un insieme di pratiche e credenze che gravitano intorno a varie tecniche dell’estasi, cerimonie e rituali che favoriscano il contatto diretto con essenze soprannaturali allo scopo di recare benefici ai singoli e alla comunità di cui lo sciamano o la sciamana fanno parte: lo sciamano, sempre benefico, è medicine man, che diagnostica malattie grazie all’aiuto degli spiriti, e sempre grazie al loro ausilio favorisce la guarigione, volando con il corpo astrale in altre dimensioni per recuperare l’anima del malato rubata dalle entità sfavorevoli; oppure, se il malato ha subito l’intrusione da parte di uno spirito, si adopera per liberarlo dall’intruso, con il soccorso dei suoi spiriti adiutori che spesso hanno forma di animali, o degli antenati. È anche capace di divinare il futuro, accompagnare, in qualità di psicopompo, i defunti nell’aldilà, di propiziare magicamente il buon esito della caccia, di sovrintendere a riti sacrificali[1].

 

“Il contatto tra lo sciamano e il soprannaturale, il mondo superiore, è reso possibile dall’axis mundi, rappresentato ora da una montagna, ora da un albero o da una scala, il quale mette in comunicazione i tre strati sovrapposti di cui si compone l’universo: in basso l’inferno, al centro la terra, in alto il cielo”[2].

Il contatto con gli oltremondi è reso possibile dalla condizione alternativa della coscienza, la trance, che viene elicitata dal suono del tamburo, o da sostanze psicotrope, e consente sia il trasferimento della coscienza nel corpo astrale, spesso in forma di uccello, sia la comunicazione con gli spiriti adiutori che danno allo sciamano le informazioni necessarie”[3].

“I presenti alla seduta sciamanica si rendono ben conto dell’immersione dello sciamano, del progressivo assorbimento della sua coscienza nell’estasi. Il suono del tamburo, il canto, l’invocazione degli spiriti contrassegnano il primo livello estatico, le azioni immaginarie dello sciamano caratterizzano l’estasi leggera, lo stupore e la catalessi l’ultima fase della trance sciamanica”[4].

Sciamani si diventa attraverso un processo di autoiniziazione e iniziazione assai  impegnativo, perché implica una disgregazione dell’Io ordinario e l’acquisizione della capacità di gestire stati di dissociazione e possessione che mettono a repentaglio l’equilibrio psicologico. Spesso, per esempio nella Siberia meridionale, la missione sciamanica viene tramandata per via ereditaria a individui che presentano fin dall’infanzia o dall’adolescenza segni di una sensibilità particolare, o che attraversano condizioni di malattia e isolamento che li aprono alla visione dell’Oltre. In questo percorso gli aspiranti sciamani sono assistiti dagli spiriti invisibili degli antenati e della Natura, con i quali sovente intrattengono un rapporto di tipo erotico[5].

Tra gli Iacuti gli spiriti conducono l’anima dello sciamano nei mondi inferiori e superiori, e le danno istruzioni, talvolta su una montagna sacra o sui rami di un albero sciamanico. L’iniziazione prevede lo smembramento simbolico del composto psicocorporeo dello sciamano, di cui troviamo un corrispettivo ellenico, nella sfera del mito,  nello sparagmós di Dioniso, e uno egizio in quello di Osiride,  e la familiarizzazione con i viaggi astrali, ovvero i voli del corpo sottile, per raggiungere gli spiriti che presiedono alle malattie o alla caccia, e che possono esercitare il loro influsso sulla vita degli uomini. Per comunicare con essi l’aspirante sciamano impara dagli anziani la lingua segreta che permette di dialogare con gli spiriti, in particolare la lingua degli animali, che sono adiutori fondamentali e lo guidano negli oltremondi.

Il culmine dello stadio transitorio è l’iniziazione estatica, l’esperienza tramite la quale il candidato ha coscienza che gli spiriti lo trasformano in sciamano. Le visioni dell’iniziazione estatica ripetono i temi della morte e resurrezione, della lacerazione del candidato da parte degli spiriti e la sua ricomposizione ed investitura dei poteri soprannaturali, della definitiva trasformazione in sciamano capace di ‘vedere’ e ’sentire’[6].

Di questa così ampiamente estesa, e pressoché universalmente diffusa esperienza spirituale, che alle varie latitudini assume forme diverse, pur mantenendo ferme le costanti fondamentali,    affidata alla comunicazione orale e a pratiche rituali, permangono chiarissime tracce nelle opere scritte di alcuni dei maggiori Sapienti greci, in particolare nei poemi Katharmói e Physiká di Empedocle.

Qui troviamo l’ annuncio, da parte del Sapiente, della propria indole di sciamano profeta e taumaturgo, dotato di ogni genere di poteri (che non possono non far pensare anche alla tradizione orientale dei siddhi).

Quanti sono i farmaci contro i mali e contro la vecchiaia

tu apprenderai, perché per te solo io voglio completare tutti questi insegnamenti.

E placherai la furia di venti infaticabili che levandosi sulla terra

devastano i campi con le loro folate, e se lo desideri,

a tua volta susciterai soffi benefici, e dalla pioggia scura

creerai  siccità opportuna per gli umani, e dall’arsura estiva

farai scaturire correnti che nutrono gli alberi e †sgorgheranno nell’etere†

e trarrai fuori dall’Ade il vigore di un uomo estinto.

(fr. 110 DK)

 

O amici, che dimorate sulla rocca sacra

presso il biondo Acragante al sommo della città,

voi che coltivate opere eccellenti di governo, approdi venerabili per gli ospiti,

e siete ignari di malvagità, salve! Io tra di voi, non più mortale,

mi aggiro come dio immortale, tra tutti onorato, come si conviene,

cinto di bende e corone fiorite; e tutti, uomini e donne,

quando io giunga presso di loro nelle città fiorenti, mi venerano.

E mi seguono a migliaia, per sapere quale sia il sentiero dell’acquisto,

e gli uni hanno bisogno di vaticini, altri, da lungo tempo trafitti da aspri <dolori>

desiderano ascoltare responsi che sanano per malattie di ogni genere.

(fr.112 DK)

Empedocle di Luca Signorelli

Così, alle origini del pensiero greco, nella figura e nell’opera di Empedocle, liberato dalle interpretazioni che tendono a ridurlo a balbettante precorritore della filosofia della Natura e restituito alla sua indole autentica, di Sapiente, sciamano, guaritore, poeta, indagatore dell’Origine e della Natura (Physikós), si intrecciano sciamanesimo, poesia e sapienza.

Tra gli eventi che contribuirono a proiettare sulla sua vita un alone di leggenda, spiccano la liberazione della città da una epidemia di peste; la rianimazione di una donna che non respirava  più da trenta giorni; la pacificazione di un giovane divenuto furioso nei confronti di coloro che ne avevano fatto condannare a morte il padre, ottenuta  attraverso la poesia e la musica[7].

Parmenide di Raffaello Sanzio

Ma sciamanico in senso lato, e comunque estatico è anche il viaggio dell’iniziato nel proemio del Perì Phýseos di Parmenide[8]:

Le cavalle che mi portano fin dove giunge il mio desiderio[9]

mi scortarono, dopo avermi guidato sulla via

della Dea[10], che dice molte cose

e porta in ogni contrada l’uomo che sa.

Là fui condotto, perché fu là che mi portarono

le  cavalle molto accorte, traendo il carro.

Fanciulle indicavano la via.

L’asse strideva nei mozzi, incandescente,

incalzato alle due estremità dai due cerchi rotanti,

ogni volta che le Figlie del Sole,

dopo avere lasciato la casa della Notte,

si affrettavano a scortarmi verso la luce,

distogliendo i veli dal capo con le mani[11].

 

Là è la porta delle vie della Notte e del Giorno[12],

incastonata tra un’architrave e una soglia di pietra:

in alto nell’etere, la chiudono grandi battenti.

Díke che molto punisce ne tiene le chiavi che si alternano.

Le fanciulle rivolgendosi a Lei con dolci parole

la persuasero con accortezza a togliere subito la sbarra dalla porta.

Ed essa si spalancò, dischiudendo  il varco enorme dei battenti,

facendo girare in senso inverso nei cardini

i perni di bronzo, fissati con chiodi e fermagli.

Da lì attraverso la porta le fanciulle

guidarono  subito carro e cavalle lungo la strada maestra.

E la Dea mi accolse benevola e la mia destra

strinse nella sua destra, e così parlò e mi disse:

“O giovane, compagno di aurighi immortali,

che giungi alla nostra dimora portato dalle cavalle,

salve a te! Perché non fu una Moĩra funesta

a spingerti per questa via (essa infatti è lontana

dal tragitto degli umani), ma Thémis e Díke.

E tu devi apprendere ogni cosa,[13]

sia il cuore che non trema della ben rotonda Verità

che le opinioni dei mortali, in cui non è vera certezza.

Ma tuttavia anche questo imparerai,

come le cose apparenti si deve ammettere che sono

quando si indaghino in ogni senso tutte le cose[14].

[1] Cfr. Marazzi TS  9 ss.

[2] Ibidem 11.

[3] Ibidem 13.

[4] Ibidem.

[5] Ibidem 15-16.

[6] Ibidem, 17.

[7] Cfr. per una più ampia trattazione, Tonelli E. Cfr. anche D. Susanetti, La via degli dei. Sapienza greca, misteri antichi e percorsi di iniziazione, Roma 2017, pp. 46-79.

[8] Rimando per una disamina più esaustiva, a Tonelli PS 92-96; 112 ss.  In una delle iscrizioni mediche di Elea, scoperta nel 1962 (Parmenídes Pýretos Ouliádes Physikós) viene definito appunto Ouliádes, e Apollo Oúlios, guaritore,  era anche Phólarchos, nel senso che gli appartenevano le grotte sacre e le corrispettive incubazioni: cfr. G. Pugliese Carratelli, Nuove note sulla scuola medica di Parmenide a Velia, “La parola del passato” 41 (1986), pp. 108-111. Idem, Phólarchos, ibidem, 18 (1963), pp. 385-386.   Cfr. Tonelli PS 89, n. 8 et 9. Per i lunghi sonni degli sciamani cfr. Dodds GI 190; E. Rhode, Psyche 428, n. 3.         .

[9] Il Proemio rimanda per il linguaggio all’epica omerica, ma dalla tradizione epico-didascalica Parmenide si allontana per l’evidente carattere estatico, visionario e sciamanico della sua esperienza conoscitiva, di cui il viaggio sul carro trainato dalle cavalle è chiaro indizio. Nell’esegesi stoicizzante di Sesto Empirico (Adv. math. VII, 112 ss.=28B 1 DK)  le cavalle rappresenterebbero gli impulsi e i desideri irrazionali  dell’anima; ma più propriamente rappresentano lo slancio estatico, che ha radice nel thymós e non nella ratio, e il carro è una sorta di veicolo astrale per la visitazione del mundus imaginalis in cui abitano gli dei quali realtà psicocosmiche. Per il carro come immagine-archetipo della via iniziatica, si pensi oltre che al viaggio dell’anima in Platone, Phaidr. 246 a ss., allo sguardo dell’ Auriga bronzeo conservato nel Museo di Delfi, così simile a quello dei koûroi di calco egizio e dei buddha, capace di restare impassibile e aperto e consapevole nel tumultuare del conflitto tra anima concupiscente e anima razionale. È un’immagine, questa delle cavalle e del carro,  che accosta ai Misteri orfeopitagorici,  per l’analogia con il percorso degli iniziati orfici di cui sono testimonianza le Laminette orfiche. La formula parmenidea dichiara l’assoluta identità di intenti tra l’io dell’iniziato-iniziando e il veicolo divino e cosmico: le cavalle portano dove l’iniziato desidera essere portato.

[10]  Non è possibile definire con precisione chi sia la  divinità femminile, in cui si è tentato di ravvisare Persefone (Kingsley) o Mnemosyne (Pugliese Carratelli): è in ogni caso uno dei nomi della Grande Dea Mediterranea, nella sua inerenza sia all’invisibile che al mondo sensibile. Nei frammenti parmenidei, se si fa eccezione per Eros, compaiono soltanto divinità femminili (Daĩmon, Theá, Moĩra, Thémis, Díke, Alétheia, Anánke, Peithó, Aphrodítes), che sono tutte forme dell’ unica Dea mediterranea “di derivazione preelleinca, in contrapposizione alla forma olimpica del divino, incentrata sui molti dei…” (Ruggiu P  182). Poiché Parmenide non ne esplicita il nome, è preferibile preservarne l’indeterminazione polisemica.

 

[11] E’un tópos del rituale iniziatico: l’imposizione del velo simboleggia la discesa agli Inferi e il viaggio interiore,  la liberazione dal velo l’acquisita illuminazione. Qui alla valenza misterica si associa quella simbolica: le fanciulle solari si tolgono il velo della notte per scortare l’iniziato verso la luce.

[12] Il viaggio verso la luce passa in primo luogo attraverso la Porta della luce e del buio. In tutto il Proemio compaiono immagini della polarità luce-tenebra (cfr. v. 9: le Figlie del Sole – la casa della Notte), come anche l’intera struttura del pensiero parmenideo è concentrata sulla polarità, e sulla sua conciliazione.

[13] Si enunciano di seguito, nei vv. 29-32, le tre forme di conoscenza: due positive, quella di v. 29 e di vv. 31-32, e una negativa e inaffidabile (v. 30: “le opinioni dei mortali”).

[14] Al v. 32 accolgo, non senza qualche riserva, la lezione di Diels. Ciascuna delle soluzioni proposte dagli editori lascia adito a incertezze. In ogni caso la terza via indicata dalla Dea consiste in una rivalutazione del mondo delle apparenze.

La Boa di Plutarco un progetto di Arnau De Villanova Institute in collaborazione con Arthena e Naos Edizioni.

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