Per la collana Mirror of the Stars edita dalla A.V.I. A.p.s. E.t.s., Aurelio Bruno ha pubblicato il saggio “Il Pantheon del Cielo”, distribuito da Amazon.
Entrando nella cultura e nella spiritualità greco-romana, in esso, l’autore spiega come il Pantheon sia stato concepito quale macchina rituale per l’ascesa agli Astri dell’anima dell’imperatore e come riproduca il passaggio più memorabile del Mito di Er del X Libro della Repubblica di Platone.
Al fine di comprendere la funzione del Pantheon analizza, dunque, teorie e pratiche dei riti di purificazione, a mezzo di lustrazioni circumambulatorie e vocalizzazioni delle sette note musicali corrispondenti ai sette Astri celesti. Obiettivo? La risalita “armonica” dell’anima tra i Cieli.
Così facendo rivela il disegno unico della struttura, funzionalmente armonica con quelle note, e dell’area limitrofa destinata alla celebrazione simbolica della Religione platonica del Mondo. Svela poi l’enigma del labirinto quale specchio del moto retrogrado dei pianeti; offre un’inedita rappresentazione cosmologica del mito del Mondo quale Specchio di Dioniso; chiarisce un’oscura profezia di Properzio sul ascensio ad astra di Ottaviano Augusto, etc…
Un universo spirituale che, se interpretato con “occhiali” moderni, rischia di rimanere non compreso. Identico destino, potrebbe toccare al tempio del Pantheon, eccezionale patrimonio ereditario di un mondo culturale scomparso.
Traiamo dal testo la parte finale che riassume, in forma romanzata, alcuni dei contenuti più impegnativi di esso.
Seguendo parole e istruzioni del Papiro ermetico di Parigi, nostra guida, proviamo a lavorare di fantasia, immaginando la scena del rito: quello del ascensio ad astra.
É quasi l’hora septima diei del A. D. XII KAL. IAN (ore 12 del 21 dicembre).
Oggi la ruota del Sole è giunta alla soglia della Porta degli Dei, rivolta a Noto e sita nella Costellazione del Capricorno. Ad essa solo Dei e immortali possono accedere sotto la sorveglianza di Ianus Bifrons, guardiano della Porta.
Lontano si sente il vociare delle folle che si dirigono alle celebrazioni dei Saturnalia.
Come lontane sono le timide voci discordi sulle parole di passo scelte graeco ritu[1]. E forse neanche quello: alcuni dicevano fosse egizio.
Sulla cupola, intorno al oculus, sono stati piazzati alcuni specchi per riflettere la luce all’interno della struttura.
Il cerchio di luce che scende dall’alto quasi acceca rispetto al buio dell’interno del grande tempio circolare.
Al cospetto dell’unico romano assunto alle stelle e raffigurato in una statua posta nell’abside dirimpetto all’entrata il Divus Iulius Caesar, Ottaviano avanza a piedi nel tempio, vestito di bianco. In mano porta un papiro in lingua greca, intitolato “Apathanatismos”[2], ovvero “Divinizzazione”, avvolto a un bastoncino d’avorio.
Di fronte alle statue di pianeti, stelle fisse e alle statue di condottieri, elevati al settimo Cielo di Saturno, l’imperatore si appresta a compiere otto giri della circonferenza della struttura.
Nel suo percorso sarà anticipato dalle vergini Vestali. Due di esse portano turiboli ove vengono bruciate essenze sacre, mentre le altre recano alcuni dei pignora civitatis[3] del loro tempio. Altri sacerdoti portano gli amuleti con incise le raffigurazioni talismaniche raccomandate dal tre volte grande Hermes. Altri trasportano le piante sacre agli astri, colte secondo la tradizione ermetica e le indicazioni del Re Nechepsos[4].
Alcuni officianti sui lati del corteo hanno in mano fiaccole accese. Il loro calore non serve però a mitigare il clima pungente della fredda giornata invernale.
Lungo la circonferenza, più in ombra, stanno numerosi giovani coristi, suonatori di flauto, corni, lira e grossi tamburi.
Silenziosamente lievi nebulizzazioni d’acqua si posano sul corteo lungo il percorso per lavare il fango dall’anima imperiale e prepararla all’ascesa.
Nel frattempo, il kyphi egizio viene bruciato su tripodi per detergere l’aria e il corpo aromale del princeps.
Il silenzio viene rotto da una voce possente che risuona all’interno del Pantheon: Favete linguis!, seguita da tre colpi echeggianti.
Ottaviano a passi lenti va verso il centro del tempio, seguito da un servitore recante il Papiro.
Immobile, palmi delle mani rivolte verso l’alto[5], Ottaviano comincia lentamente la lettura del Papiro con la “formula propiziatoria” e il “logos invocatorio”.
Finito l’invocatorio, la processione comincia la rotazione attorno alla circonferenza interna del tempio, in senso orario.
L’imperatore tace. Agrippa legge la “prima istruzione”.
Ottaviano respira profondamente “dai raggi solari” inalando tre volte: improvvisamente ha la sensazione di essere tratto in alto, in mezzo allo spazio[6]. La strana percezione finisce quando i musicanti, come le sirene del mito platonico di ER, intonano con i flauti in RE diesis il primo logos.
Dopo qualche esitazione, Augusto fa un lungo sibilo “S! S!” e poi un soffio. Comincia a leggere il primo logos, quello della Luna e della Dea Selene.
Davanti alla statua della Musa Clio, Ottaviano inchina la testa, altrettanto fa davanti alla Statua della Dea Selene. In mano porta un sacchetto con semi di finocchio e un cristallo di rocca inciso.
Finito il logos si sente la voce di Agrippa che impartisce altre istruzioni.
Si passa al secondo logos, dedicato al Sole, al Dio Apollo.
A ogni giro sale l’intonazione delle parole di passo pronunciate dall’imperatore, seguito dal coro, come una specie di riverbero delle sue parole.
Il coro, all’inizio del secondo giro, intona il DO diesis.
Come stordito da un interno fragore, Ottaviano barcolla. Ripresosi, dopo un lungo respiro, con voce ferma, urla: “Silenzio! Silenzio! Sono un astro che procede con voi e che splende dall’abisso”.
Agrippa legge ulteriori istruzioni. Il corteo procede lentamente, girando dentro la rotonda del tempio.
Al passaggio davanti alla statua della Musa Melpomene, Augusto si ferma e saluta inchinando la testa, altrettanto davanti alla statua del dio Apollo. In mano tiene dell’oro insieme a foglie di cicoria.
Con la coda dell’occhio vede un lampo in alto. A Ottaviano sembra che, d’improvviso, il disco solare, al centro del oculus, cominci a espandersi. Pronuncia due volte “Silenzio”, sibila e soffia due volte. Contemporaneamente vede numerose stelle pentagrammate proiettarsi giù dal Sole. La visione si dilegua dopo qualche secondo.
Incomincia il logos della Dea Venere.
Il coro intona il SI bemolle, mentre l’imperatore legge i logoi.
La nota continua a risuonare tra i sovrastanti fusaioli platonici e, procedendo, Ottaviano saluta, prima, la Musa Tersicore e, poi, la Dea Venere, augusta genitrice di Enea e della sua Gens. In mano tiene uno smeraldo inciso e foglie di salvia.
Come un sol uomo, all’unisono la processione cambia il senso di marcia e comincia a girare in senso antiorario: comincia a tracciare l’ideale figura della Rosa di Venere celeste.
In quel momento, una repentina cupa esplosione. Il Pantheon sembra scuotersi dalle fondamenta al risuonare di possenti vocali cosmiche in antistrofa: “ÈEÒ. OÈÈÒ. IÒÒ. OÈ. ÈEÒ. ÈEÒ. OÈEÒ IÒÒ. OÈÈE. OÈÈ. ÒOÈ. IÈ. ÈÒ. OÒ. OÈ. IEÒ OÈ. ÒOÈ. IEÒOÈ. IEEÒ. EÈ IÒ. OÈ IOÈ. ÒÈÒ. EOÈ. OEÒ. ÒIÈ ÒIÈE Ò. OI. III. ÈOÈ. ÒEÙ. ÈÒ. OÈE. EÒÈIA AÈAEÈA ÈEEÈ. EEÈ. EEÈ. IEÒ ÈEÒ OÈEEOÈ ÈEÒ EYÒ. OÈ. EIÒ EÒ OÈ. ÒÈ ÒÈ EE. OOOYIOÈ”.
I coristi attoniti non cantano, né suonano i musicisti. Molti, spaventati, si sono nascosti dietro le statue. I muri freddi vibrano.
L’intera massa del Pantheon è diventata un tutt’uno con il boato sonoro e risuona di suo. Incredibilmente, sembra quasi che siano gli astri a cantare ora per il princeps, in polifonia, ognuno con la propria vocale.
Dopo qualche titubanza, prima Ottaviano, poi, tutta la processione comincia ad andare lentamente avanti e poi indietro. Come seguendo invisibili gesti delle braccia della Parca Lachesi, essa ripete tante volte il percorso erratico, tracciando simbolicamente i cinque petali della Rosa Planetaria.
Nel frattempo, le vocali di potenza celebrano il meraviglioso momento astrale del ritorno del tempo all’indietro, nel passato.
La processione, di colpo, rallenta.
Ottaviano si è fermato. Ha il volto stupito e gli occhi sbarrati.
Intorno a lui sono apparsi i “sette immortali Dei del cosmo”. Sono gli Dèi dei sette astri. Disposti in cerchio, lo circondano. Ognuno di essi sta di fronte alla statua che lo rappresenta.
L’imperatore indietreggia con reverenza, prima a destra poi a sinistra, mentre attorno a lui tutto trema in risonanza. L’ininterrotto rombo, pare, ripeta l’antistrofa infinite volte.
Come d’incanto, invece, in pochi secondi, tutto svanisce, sia le immagini che il boato.
Un’eco irreale continua, però, a permanere tra la cupola del Tempio. Sembra che debba durare un’eternità.
D’improvviso, il silenzio.
Inspirando profondamente, l’imperatore, con espressione ancora attonita, finisce da solo la rotazione inversa.
Una glaciale immobilità avvolge ora la grande rotonda.
I cori e gli altri astanti mestamente si ricompongono. A parte lo struscio di vesti e scarpe, si sente solo il respiro ansimante di qualcuno.
Ottaviano sta rigido al centro. Tiene gli occhi chiusi e i palmi delle mani aperti verso il cielo. Attende.
Il logos del Dio Mercurio ha ora inizio.
Al quarto giro, la processione riprende in senso orario.
Musici e coro intonano un LA, mentre Ottaviano saluta al passaggio le statue di Calliope e del dio Mercurio, tenendo in mano un amuleto di topazio e del rosmarino avvolti in un sacchetto.
Al Dio Marte è dedicato il nuovo logos.
L’imperatore, al quinto giro, fa un doppio inchino della testa davanti alla statua del dio Marte e della Musa Erato, mentre contemporaneamente risuona il SOL nella struttura. Un sacchetto di stoffa nelle mani di Augusto contiene l’amuleto della sardonica e semi di aristolochia.
Pronunciato il logos della quinta “parola di passo”, Ottaviano emette un “prolungato muggito”, si china e bacia tutti gli amuleti.
Il sesto logos è quello del Dio Giove.
La nota FA accompagna la processione al sesto giro e Augusto fa un inchino della testa davanti al dio Giove e alla Musa Euterpe. Nelle mani porta un amuleto di pietra di granito e dei semi di artemisia.
Nel frattempo, appaiono davanti all’imperatore sette fanciulle dal viso serpentino.
Senza esitare, le saluta a gran voce: “Dee celesti dei Destini, Vergini buone, […] santissime guardiane delle quattro colonne del mondo”.
Pronuncia i loro nomi magici:
“Salve (a te), la prima KREPSENTHAÈS!
Salve (a te), la seconda MENESKEÈS!
Salve (a te), la terza MEKRAN!
Salve (a te), la quarta ARARMAKÈS!
Salve (a te), la quinta EKOMMIE!
Salve (a te), la sesta TIKNONDAÈS!
Salve (a te), la settima ERUROMBRIÈS!”.
Come prima, anche le sette Dee spariscono piano piano.
Il nuovo logos è dedicato al Dio Saturno, il dio della Saturnia Tellus.
Al settimo giro la processione procede accompagnata dalla nota MI. Ottaviano saluta il dio Saturno e la Musa Polimnia. In mano tiene un sacchetto con l’amuleto del calcedonio e della maggiorana.
Davanti a Ottaviano appaiono ora sette dèi neri con le facce di toro, cinti di lino alle reni, recanti sette diademi d’oro.
Essi sono i sette dèi, signori del Polo celeste, “guardiani del Pernio (…) che volgono insieme l’Asse vorticoso della Ruota Celeste (…)[7]”, dice Agrippa.
Ottaviano li saluta, con voce tranquilla:
“Salve (a te), il primo AÌERÒNTHI!
Salve (a te), il secondo MERKEIMEROS!
Salve (a te), il terzo AKRIKIUR!
Salve (a te), il quarto MESARGILTÒ
Salve (a te), il quinto KIRRÒALITHÒ!
Salve (a te), il sesto ERMIKTHATHÒPS!
Salve (a te), il settimo EORASIKÈ!”
Pronunciati i nomi magici, Ottaviano vede scendere dal oculus un giovane, radiante, dai capelli dorati, vestito di una tunica bianca, una corona d’oro e vesti ricadenti. Egli porta nella destra qualcosa. Agrippa gli dice che quello che reca è: “La Spalla d’oro del Vitello. Questi è l’Orsa, che muove e volge il Cielo, in alto e in basso (…)”.
Anche le ultime visioni si dileguano.
Alla fine del logos, Agrippa invita il princeps a baciare ancora una volta gli amuleti.
Il logos finale è quello degli dei stellari, della ottava sfera.
Comincia l’ottavo giro. La nota è l’ottava del RE diesis, altissima.
Finito il logos, Ottaviano “muggisce a lungo” rivolgendosi alle statue delle divinità stellari e un’altra volta alla statua della Dea Selene la cui ottava nota, ora, riprende con il muggito[8].
La processione s’interrompe e con essa la musica.
Un’immobile pausa di ogni rumore e movimento piomba sulla struttura.
Con il nono logos Ottaviano Augusto è tornato sulla Terra, ove tutto è silenzio e domina la sorda Musa Thalia.
L’imperatore, rigido, ora, legge, al centro del Pantheon, il nono logos.
Avvolto dai raggi solari che scendono dal opaion, annuncia di essere “liberato, trasportato di là dalla generazione mortale”.
Sembra che i raggi del Sole, riflessi attraverso lo axis mundi, plasticamente ora dondolino morbidamente il suo corpo eterico, lo stesso che un giorno solleveranno verso la finale meta stellare.
Finito il rito, vediamo, come ultima immagine, Ottaviano, avvolto dal fascio di luce solare, dritto sotto l’oculus del Pantheon.. Luminoso e diafano, rivolge estasiato il viso al Cielo, grato del destino astrale che lo attende.
Lo sentiamo. A memoria recita queste “parole di potenza”, commosso:
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Ἄστρων οὐρανίων ἱερὸν σέλας ἐκπροκαλοῦμαι,
εὐιέραις φωνῇσι κικλήσκων δαίμονας ἁγνούς.
Ἀστέρες οὐράνιοι, Νυκτὸς φίλα τέκνα μελαίνης,
ἐγκυκλίοις δίνῃσι περιθρόνιοι κυκλέοντες.
ἀνταυγεῖς, πυρόεντες, ἀεὶ γενετῆρες ἁπάντων·
μοιρίδιοι, πάσης μοίρης σημάντορες ὄντες·
θνητῶν ἀνθρώπων θείην διέποντες ἀταρπόν·
ἑπταφαεῖς ζώνας ἐφορώμενοι, ἠερόπλαγκτοι·
οὐράνιοι χθόνιοί τε, πυρίδρομοι, αἰὲν ἀτειρεῖς
αὐγάξοντες ἀεὶ νυκτὸς ζοφοειδέα πέπλον,
μαρμαρυγαῖς στίλβοντες, ἐΰφρονες ἐννύχιοί τε·
ἔλθετ’ ἐπ’ εὐιέρου τελετῆς πολυΐστορας ἄθλους,
ἐσθλοὶ ἐπ’ εὐδόξοις ἔργοις δρόμον ἐκτελέοντες.[9]
A conclusione del rito, che, abbiamo dedotto, potrebbe essere stato seguito da Ottaviano Augusto, ci piace citare un epigramma di Tolomeo: “Lo so, sono mortale e duro solo un giorno. Ma quando accompagno, nel loro corso circolare, i ranghi stretti degli astri, i miei piedi non toccano più la Terra, mi ritrovo a fianco di Zeus stesso a saziarmi di ambrosia, come gli Dei”[10].
La via era ben chiara. Perché l’imperatore potesse realizzare l’apoteosi, occorreva che la sua anima imparasse a ruotare in armonia speculare con le stelle incorporee. Un giorno, innalzata sui raggi del Sole, sarebbe stata, infine, accolta tra di esse.
Perché “(…) gli incorporei si riflettono nei corpi e i corpi negli incorporei, vale a dire il mondo sensibile nel mondo intelligibile e l’intelligibile nel sensibile”, come insegnava Hermes Trismegistus[11].
La conoscenza è complessa, la verità è semplice.
[1] Circa l’importanza del rito per i Romani citiamo Lattanzio che diceva che la religione romana non cercava la verità, ma solo il rito”nec habet institutionem aliquas veritas sed tantummodo ritum colendi”(Lactantius, Inst.Div.,IV. 3). Valerio Massimo attribuiva la buona fortuna alla scrupolosità dei riti. Plutarco racconta che nel momento più tragico della invasione gallica di Roma i Romani riconoscevano più importanza per la salvezza della città che i consoli praticassero i riti che sconfiggere il nemico (Plut., Marc., 4). Si veda V.Macchioro “Roma capta: saggio intorno alla religione romana”, Principato, 1928, pag.36. Si veda “Introduction to magic, Realization of the Absolute Individual”, J.Evola and the UR group”, Vol.III, il saggio “On the “Sacred” in the Roman Tradition” di EA, pag. 228 e ss.
[2] Letteralmente “Deificazione”. Trattasi del Grande Papiro Magico di Parigi, (n. 574 del Supplément grec de la Biblioteque Nationale) in “Introduzione…”, Gruppo di UR, ibidem, pag. 114 e ss.
[3] Sugli amuleti propri della Tradizione Sacra Romana (o pignora imperii), per motivi di brevità, si rimanda allo scritto di S. Consolato, “Talismani di Roma Antica”sulla rivista “La Cittadella” n. 31-32, 2008, pagg.65-81. Imprescindibili poi il testo di F. Cancellieri “Le sette cose fatali di Roma Antica”, I Libri del Graal, 2009 e il commento contemporaneo fatto da M. Baistrocchi, “Le sette cose fatali di Roma”. in Riti e Tradizioni di Roma Antica, Roma 2006, pag. 43.
[4] Catalogus Codicum Astrologorum Graecorum CCAG., VIII, 3, pp. 1 34 ss
[5] I palmi delle mani sono rivolti in direzione della sede della divinità (Macrobio, Saturnalia, III.9.10-12). Per le divinità superne sono rivolti verso l’alto (supina manus, per quelle infere verso il basso (prona manus), per quelle terrestri e naturali nella direzione della loro sede (verso un bosco, o un fiume, etc.).
[6] “Trai respiro dai raggi (solari) inalando tre volte quanto (più profondamente) puoi, ed (ecco), ti vedrai sollevato in alto, oltre ogni altezza, onde ti sembrerà di essere in mezzo allo Trai respiro dai raggi (solari) inalando tre volte quanto (più profondamente) puoi, ed (ecco), ti vedrai sollevato in alto, oltre ogni altezza, onde ti sembrerà di essere in mezzo allo spazio”, dice la Prima Istruzione del Papiro Magico di Parigi, in “Introduzione…”, ibidem, pag. 118. L’anima veniva indotta (“costretta”) alla elevazione. Si veda la già citata opera di Aristidis Quintiliani “De musica liber secundus, in Meibomius, Antiquae musicae auctores septem graece et latine…”, Amstelodami 1652, vol. II, pp. 1-164. Traduzione di A.-J. Festugière,” L’Âme et la Musique d’après Aristide Quintilien”, in T. A. P. A., 85, 1954, pp. 55-78, citato da Boella e Galli, nota 118 pag.385
[7] Ovvero, guardiani dell’Axis Mundi
[8] Ricordiamo che Proclo diceva che: “(…) alla Luna è consacrato il muggito”, cfr. Proclo “Dissertazione XV” in “Commento alla Repubblica di Platone”, a cura di M. Abbate, Bompiani, 2014, pag. 309. A nota 43 pag.418 Abbate commenta così: “La connessione tra Luna e toro è molto antica ed è legata a concezioni di carattere simbolico- religioso e astrologico”
[9] Inno orfico agli Astri:
“Degli astri splendenti invocherò il sacro splendore
con voci conformi al rito chiamando i démoni santi.
Astri celesti, cari figli della Notte Nera,
che vi muovete in giro con vortici circolari correndo intorno.
Scintillanti, di fuoco, genitori di tutto sempre,
determinate il destino essendo guide di ogni destino,
regolate il sentiero divino degli uomini mortali,
sorvegliate le zone dalle sette luci, vagate nell’aria,
celesti e terrestri, dalla corsa di fuoco, eternamente indistruttibili,
illuminate sempre il manto oscuro della notte,
risplendenti di scintillii, benevoli e notturni;
venite ai sapienti cimenti del sacro rito
compiendo la corsa valorosa per imprese gloriose”.
Tratto da Inni Orfici ed. Lorenzo Valla trad. Gabriella Ricciardelli.
[10] “Οἶδ’ ὅτι θνητὸς ἔφυν καὶ ἐφάμερος, ἀλλ᾽ ὅταν ἄστρων ἰχνεύω κατὰ νοῦν ἀμφιδρόμους ἕλικας, οὐκετ᾽ ἐπιψαύω γαίης ποσίν, ἀλλὰ παρ᾽ αὐτῷ Ζηνὶ θεοτρεφέος πίμπλαμαι ἀμβροσίης”, da Anthol. Pal., IX, 577. Cfr. F. Cumont, “Le mysticisme astral dans l’antiquitè”, Bruxelles, 1909, p. 277 e F. Cumont, L’egitto degli astrologi, Mimesis, 2019, pag.239
[11]E. Trismegisto, “Corpus Hermeticum”, Trattato XVII, in P. Scarpi, “La rivelazione segreta di Ermete Trismegisto”, Fondazione Lorenzo Valla, pag. 239. La Tabula Smaragdina, benché sia costituita da materiale di provenienza greco-egizia, venne definita in arabo e tradotta in latino, probabilmente del sec. XI. Nella Tavola smaragdina si contengono, espressi in sentenze, insegnamenti mistici e occultistici; tra essi il famoso: “Verum, sine mendacio certum et verissimum, quod est inferius, est sicut quod est superius, et quod est superius, est sicut quod est inferius: ad perpetranda miracula rei unius”.
La Boa di Plutarco un progetto di Arnau De Villanova Institute in collaborazione con Arthena e Naos Edizioni.