Argimusco: a proposito del tesoro templare e del Santo Graal di Graziella Milazzo

“Nel periodo in cui le mura di Montsegur erano ancora in piedi, i Catari tenevano lì il Santo Graal. Montsegur era in pericolo. Le armate di Lucifero lo accerchiavano. Volevano il Graal per ripristinare il Diadema del loro principe. Questo si era staccato ed era caduto durante la caduta degli angeli sulla Terra. Quattro Catari riuscirono a fuggire e a portare con sé il Graal.

Nel momento più critico, discese dal cielo una colomba bianca, che con il suo becco, divise il Tabor in due. La colomba era Esclarmonde, il custode del Graal. Ella gettò la preziosa reliquia nelle profondità della montagna. La montagna si chiuse di nuovo, e in questo modo il Graal venne salvato. Quando i demoni entrarono nella fortezza, era troppo tardi. Furiosi, bruciarono sul fuoco i Puri, non lontano dalla roccia su cui sorge il castello nel campo dei cremati. Tutti i Puri perirono sul rogo tranne Esclarmonde. Quando si seppe che il Graal era al sicuro, Esclarmonde si arrampicò fino alla cima del Monte Tabor (“Munt Tabur”, in pronuncia guascone-occitana”) e trasformatasi in colomba bianca volò verso le montagne dell’Asia, ovvero verso est. Esclarmonde non morì. Continua a vivere in un Paradiso Terrestre” Argimusco Decoded, p. 299[1]

Alla fine del saggio Argimusco Decoded (2012) Paul Devins, nonostante la maniacale precisione storica e minuziosa ricerca delle fonti in realtà ci lasciò con una leggenda. La leggenda era quella di Esclarmonde de Foix, la quale secondo Otto Rahn, fu l’ultima custode del Santo Graal.

Ma come ogni leggenda che si rispetti è sempre la storia a farne da basamento, così Devins scrisse che:

“Sono documentati i viaggi verso la Sicilia da parte di Catari sia negli ultimi anni del XIII secolo che agli inizi del XIV. Nell’isola, agli inizi del 1300, peraltro, pare esercitasse l’ultimo Diacono Cataro ancora vivente dopo le persecuzioni (nel dialetto siciliano è rimasto in vita il termine Bizzocchi che designa uno dei modi con cui venivano appellati i Catari del 1300).

Non per nulla, Papa Martino IV nella Bolla Solebas hactenus mater, nel 1284, lamentava le protezioni di cui godevano i Catari in Sicilia, da parte del Re Pietro II, padre di Federico III d’Aragona. Come già detto, Arnau da Vilanova, simpatizzante e protettore dei Beghini catalani, prima di morire nel 1311, aveva fatto promettere al re Federico di dare loro ospitalità. Ricordiamo ancora che alla sua discepola, la regina Eleonora d’Angiò, nel suo testo Informaciò del 1310, egli ingiunse anche di “organizzare gruppi di preghiera in stile Beghino” (Cataro). Argimusco Decoded p. 302

Prima della sua morte lo storico Prof. Alessandro Musco in un’intervista aveva dichiarato che un Tesoro Templare si nascondeva a Montalbano Elicona (MunTarbanu in siciliano), gli uomini di poca fede allorché pensarono che la questione del Tesoro templare fosse trovata pubblicitaria di Musco e Devins, ma oggi dimostreremo che non è così.

Sempre con dovizia di fonti e motivazioni legittime Devins riportò che: “Ci sono prove che molti Templari fossero Catari ed è stato appurato che i Templari nascosero molti Catari all’interno dei loro ordini e che li seppellissero nei loro terreni sacri”[2]. Argimusco Decoded p. 300

Oggi però vogliamo parlarvi di un’altra leggenda.

Questa è la leggenda del Graal che si trova nel Parzival di Wolfram von Eschenbach (1210), ove l’autore ci racconta che il Graal sarebbe stata una pietra magica caduta dal Cielo (lapis exillis), questa pietra, guarda caso uno Smeraldo, sarebbe caduta sulla terra dalla corona di Lucifero. [3]

Il caso vuole che il Sacro Graal fosse stato scolpito da questo grande smeraldo caduto dalla corona di Lucifero e che anche la famosa Tavola di Smeraldo (Tabula Smaragdina), la tavola magica degli ermetisti, fosse stata ricavata da un enorme Smeraldo. [4]

Il senso di tutto a nostro avviso sta in un racconto sul Graal, quasi sconosciuto, ma tratto sempre da Wolfram von Eschenbach. Il racconto è quello riguardante il misterioso Flegetanis.

Flegetanis era, secondo Wolfram von Eschenbach , un astronomo arabo che per primo lesse il segreto del Santo Graal nella scrittura stellare. Wolfram fece riferimento al racconto del poeta provenzale Kyot , che cita come fonte per il suo romanzo Parzival. Kyot gli aveva chiesto di non rivelare la storia di Flegetanis fino al momento giusto. In effetti, Wolfram la descrive solo nel 9° libro (453, 5 – 455, 22).

Da parte di padre, Flegetanis era un pagano, da parte di madre un ebreo della stirpe di Salomone. Pare che Kyot trovò il manoscritto arabo dimenticato di Flegetanis a Toledo in Spagna, allora nota come Al-Andalus, che all’epoca era sotto il dominio musulmano. Dopo che Kyot ebbe imparato la lingua araba e decifrato il manoscritto, viaggiò in tutta Europa per saperne di più sul Graal. Nel frattempo, s’imbatté nella storia di Parzival durante un viaggio nella provincia di Angiò: «Kyot, il maestro di molta dottrina, prese a cercare in libri latini dove mai potesse essere nato un popolo degno di custodire il Graal e capace di serbarsi puro. Lesse le cronache di ogni paese … finché nell’Angiò trovò quello che cercava».

[5]

Citiamo a seguire il passo che parla del racconto di Flegetanis:

Possa la sua arte dirci

Del corso di tutte le stelle

E il loro ritorno da lontano,

Quanto a lungo ognuno deve camminare

Finché non lo vediamo all’antica meta.

 

Il destino e la natura umana

Possono essere letti nel corso delle stelle.

Flegetanis il pagano riconobbe,

Quando volse gli occhi al cielo

Misteriose notizie.

 

Parlò con bocca timida

Di questo: “Una cosa è chiamata il Graal;

Scritto nelle stelle

Egli trovò il nome, come era chiamato.

Una moltitudine lo lasciò uscire dalla terra,

 

Che volò di nuovo alle stelle,

Sia grazia o innocenza tornarono a casa.

Quindi nutrì il suo frutto battezzato

Con umiltà e pura disciplina.

L’umanità porta il valore più alto,

 

Che è convertita al servizio del Graal.”

Così ne scrisse Flegetanis.

Secondo la maggior parte degli studiosi del racconto di Flegetanis è riconosciuto, che in realtà Flagetanis o Felek-Thân sia il titolo di un libro arabo, il caso vuole che l’autentica trascrizione dall’arabo di Felek-Thânî sia «seconda sfera» o «secondo cielo planetario».

La seconda sfera corrisponde al cielo di Mercurio, a cui è associato il simbolo del famoso Caduceo e la figura di Ermete Trimegisto, nonché anche la figura di Thot dio della scrittura. Nella tradizione ebraica e cristiana questo cielo è retto dagli Arcangeli, in particolare all’arcangelo Raffaele il cui nome significa “Dio guarisce”. Ricordiamo inoltre che nell’iconografica cristiana l’arcangelo Raffaele è rappresentato con una coppa in mano.

Dunque il vero significato del Graal, che sarebbe stato scritto nelle stelle, è stato poi rivelato, secondo Wolfram, da un saggio «pagano» di nome Flegetanis.[6]

La tradizione cabalistica effettivamente riporta che sarebbe esistita una scrittura originaria leggibile nel firmamento e detta “scrittura celeste”, di cui tracce si rinverrebbero appunto nell’alfabeto ebraico. [7]

Cornelio Agrippa a proposito della scrittura spiega che: “nel vasto spazio celeste (…) si trovano figure e segni (…). Tali figure splendenti sono le lettere dell’alfabeto, con le quali il Dio benedetto ha creato Cielo e Terra. (…) le lettere del loro alfabeto, secondo quanto affermano i rabbini ebrei, sono costituite sulla base delle Figure delle Stelle (vedi De immaginibus di Al Kindi) e perciò sono piene di celesti misteri, sia per quanto concerne la forma, la figura e il significato, sia per quel che riguarda i numeri in esse contenuti”

Figura 1- ALFABETO CELESTE in “Curiositez inouyes sur la sculpture talismanique des Persans, horoscope des patriarches, et lecture des estoilles”  [Jacques Gaffarel]

 

Anche secondo il racconto di Flegetanis la ricetta dell’immortalità era dunque scritta nelle stelle?

Wolfram von Eschenbach, nel suo Parzival, come accennato, reinterpreta il Graal come la lapis exilis, capace di conferire l’eterna giovinezza, richiamando l’elisir di lunga vita degli alchimisti e si dice Arnaldo da Villanova produsse.

Ma per Arnaldo la lapis exillis era anche lapis medicinalis? Devins scrive che:

Arnaldo da Villanova conosceva e applicava le tecniche della magia naturale per armonizzare lo spirito umano al il cielo, per allinearlo alle configurazioni delle stelle e dei pianeti. Perfino nella successiva letteratura rinascimentale di stampo ermetico viene spiegato come ricevere i doni del cielo attraverso l’uso di piante, pietre, metalli e animali associati ai pianeti, il cui influsso si vuole attrarre, e di come sfruttare queste influenze astrali per mantenere la salute del corpo e prolungare la vita.

Arnaldo da Villanova, che si definiva figlio di Ermete, per realizzare il suo talismano a cielo aperto su Argimusco aveva applicato il principio ermetico dello specchio[8], portando le stelle sulla terrà attraverso una riproduzione di 21 costellazioni estive, fra cui l’Aquila, aggiungendo altri simboli alchemici e infine – come accennato – il simbolo del Delta sacro. Lo scopo della creazione di questo grande talismano stellare era, come già più volte spiegato, la pratica della medicina astrale per la cura della famiglia reale.[9]

Argimusco è dunque una “rappresentazione” del Santo Graal? O sarebbe meglio dire: su Argimusco vennero applicati i precetti del Graal che Flegetanis vide scritte nelle stelle?

Non lo possiamo affermare con certezza storica, ma dobbiamo ammettere che anche le leggende sul Graal riportano al rapporto con le stelle, ai benefici dei raggi stellari – come riportato in De Radiis – e al concetto di Elisir di lunga vita, la cui preparazione era l’obbiettivo principale degli alchimisti.

Quello che abbiamo negli anni tentato di dimostrare è la certezza storica che Arnaldo da Villanova, su commissione della Regina Eleonora D’Angiò, amante delle stelle, realizzò un talismano stellare per la cura della famiglia reale. Le azioni umane fanno la storia, ma quello in cui si crede in un determinato tempo e spazio ne conferiscono il senso in quel presente.

E così tutto cade ancora una volta nella legenda? Forse no!

[1] Il simbolismo della montagna è ben noto: la particolare conformazione della montagna la rende un’immagine perfetta dell’axis mundi, che collega la Terra al Cielo, grazie a questa sua “assialità”, la montagna cosmica, il Monte Tabor, si colloca al centro della manifestazione universale, nel punto da cui si irradiano tutti i raggi delle stelle, simili a innumerevoli lampi di luce, che si riflettono sui diversi livelli cosmici. È il luogo privilegiato di ogni teofania, dove il divino si rivela e viene riconosciuto dagli esseri umani.

 

[2] A queste preziose informazioni aggiungiamo che i capi religiosi dei catari erano detti “boni homines” ovvero “perfetti”, allorché precisiamo che il grado di Maestro Perfetto è uno dei gradi dell’iniziazione Massonica. I Rosacroce inoltre sono denominati Cavalieri dell’Aquila e del Pellicano, le cui statue sono rappresentate su Argimusco.

 

[3] Secondo alcune correnti esoteriche Lucifero, potatore di luce, fu colui che nella sua caduta diede alle stelle la possibilità di brillare, questo è il motivo per cui l’appellativo dell’angelo caduto sarebbe proprio quello di “Portatore di luce”.

 

[4] Arnaldo da Villanova rappresentando su Argimusco anche la figura della Luna nella XVIII casa di Ofiuco (governata da Mercurio), volle rappresentare la pratica della medicina astrale? Vedi: Argimusco Decoded: Quod Est Inferius, Est Sicut Quod Est Superius, ed. 2020

 

[5] Ricordiamo che Eleonora D’Angiò, una regina Angioina, amante degli astri, commissionò il talismano stellare di Arnaldo da Villanova su Argimusco.

[6] L’esistenza del Graal, la sua origine celeste e la sua esistenza sulla terra fu poi trasmessa alla custodia di cristiani «puri quanto gli angeli». Questi erano i Catari?

 

[7] Nella tradizione araba viene chiamata la scienza delle lettere, ovvero ʿIlm al-ḥurūf.

 

[8] La Tavola di smeraldo dice: “Così in cielo come in terra per la meraviglia della cosa unica”,

[9] Su Argimusco ad opera di Arnaldo da Villanova – oltre le statue delle costellazioni estive –  fu inoltre realizzato il Delta sacro, simbolo stesso del Tempio Massonico, e questo fu posto accanto alla statua della Vergine in preghiera. Eschenbach nei suoi racconti sul Graal racconta poteva essere toccato solo da una Vergine.

 

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