Ci conosciamo da trenta anni con Stefano Gresta, che è un fisico dei terremoti e dei vulcani, ha ricoperto incarichi importanti a livello nazionale e internazionale. Autore di oltre 200 pubblicazioni scientifiche e da sempre appassionato di poesia tra i suoi autori preferiti Baudelaire e Ungaretti. Quasi tutte le poesie di Gresta pur nella loro diversità, hanno un tema comune: lo scorrere del tempo che trasuda da ogni verso, da ogni immagine.
Sempre nelle presentazioni delle poesie si sottolinea questa sua duplice faccia: lo scienziato e il poeta come se la formazione, il lavoro scientifico ne aumentasse lo spessore come dire è un poeta, scrive poesie ma è uno scienziato quasi come una giustificazione. Ciò accade perché la poesia è un’arte della quale si fruisce con difficoltà, la poesia ci spaventa, ci turba perché le metafore che utilizza, le sue immagini, ci arrivano direttamente all’anima, senza passare dal cervello, la poesia non la possiamo controllare, ci connette con la parte oscura di noi dove si agitano le passioni. Questo binomio scienziato poeta un po’ perseguita Gresta come se gli scienziati non possono avere un’anima sensibile, devono essere solo numeri e formule. anzi sembra che le più grandi scoperte siano avvenute per un insight. Come convivono queste due anime.
Susanna Basile: Chi è Stefano Gresta?
Stefano Gresta: Una persona che ha avuto la fortuna di poter svolgere un bellissimo lavoro, lo scienziato, e che oggi, ritiratosi dopo quarant’anni di entusiasmante attività, si gode la possibilità di coltivare altre sue passioni; prima di tutto la poesia.
S.B.: Com’è nata la sua passione per la poesia?
S.G.: Fin da bambino mi piaceva imparare a memoria le poesie; ero affascinato dal ritmo prima ancora che dai contenuti. Ho scritto le prime poesiole attorno ai 14-15 anni e conservo ancora gelosamente quei quadernetti, pur se dai contenuti “infantili”. In seguito sono stati fondamentali i miei insegnanti di francese e di italiano al liceo, due persone di grande spessore e umanità mi hanno fatto appassionare alle poesie di Baudelaire e di Ungaretti. Quindi nel corso degli anni ho scritto e conservato nel cassetto versi e riflessioni. Sono stato anche anni senza scrivere nulla, poi come per magia, arrivava lo stimolo a scrivere, per qualche giorno o settimana. E scrivevo e (per pudore o per paura del giudizio altrui) conservavo.
S.B.: C’è un legame tra la natura che ha studiato e le sue poesie?
S.G.: Sono passati decenni, ma ricordo ancora le mie prime escursioni all’Etna. La conturbante desolazione delle quote sommitali; i paesaggi mozzafiato dell’aspro versante occidentale; la luce abbacinante di distese nevose che si perdono nel mare all’orizzonte. Di fronte alla terribile complessa potenza di un terremoto o allo spettacolo maestoso di un’eruzione vulcanica il pensiero va a qualcosa di ben più grande e potente di qualsiasi azione che l’Uomo potrà mai porre in essere. Allo stesso tempo, però, vanno riconosciute la profondità e la complessità del pensiero e dei sentimenti dell’Uomo.
S.B.: Come nasce la sua ispirazione?
Talvolta dai semplici ricordi di episodi vissuti, altre volte da uno stimolo sensoriale che viene da un paesaggio, da un gioco di luci, da un odore, dal rumore del mare. Negli ultimi tempi anche da sogni, soprattutto nel dormiveglia.
S.B.: La poesia oggi: perché ci sono molti poeti e pochi lettori?
S.G.: Forse perché la funzione che un tempo aveva la sola poesia e da qualche decennio ormai, viene svolta dalle canzoni.
S.B.: A cosa serve la poesia?
S.G.: Penso che per un lettore, almeno per me, sia uno stimolo alla riflessione, un catalizzatore per l’attivazione (o l’approfondimento) di pensieri e di sentimenti. Per un autore è sostanzialmente lo specchio della propria coscienza.
S.B.: Quali e quanti sono i libri che ha scritto?
S.G.: Dopo aver scritto per anni le mie poesie, tenendole disordinatamente chiuse in un cassetto, qualche anno fa ho iniziato a pensare di raccogliere quelle che avessero in comune il tema dell’amore, in una silloge. Nel 2019 ho avuto la fortuna di incontrare il professor Mario Grasso, un grande poeta e scrittore, nonché uomo di cultura e di entusiamo straordinari. Egli mi ha incoraggiato a pubblicare la mia prima raccolta “Tèssere”, per la casa editrice Prova d’Autore. A seguire, tre raccolte, “Relitti” (2020), “Genealogici ingranaggi” (2021) e “Opache clessidre” (2022), per i tipi di edizioni Helicon. Infine, poche settimane fa, ha visto la luce la silloge “Dubbiose certezze”, edita da Puntoacapo.
S.B.: Ci vuole raccontare un sentimento per ogni collezione che ha pubblicato?
S.G.: In estrema sintesi, “Tèssere” racconta dell’amore. Da quello ideale a quello che matura e si realizza; dalla dolce malinconia di un momento di felicità alla tristezza per un amore travagliato o non più corrisposto. Le poesie di “Relitti” sono, invece, frammenti, oggetti dispersi, parte del vissuto di una persona che potrebbe essere ognuno di noi che, nei momenti di emarginazione o isolamento si aggrappa anche al più piccolo relitto galleggiante pur di non affondare. In “Genealogici ingranaggi” c’è, forte, l’influenza della lettura di Jodorowsky. Misteri e paure ancestrali (il buio, il fulmine, il desiderio di volare). Le diverse poesie sono un po’un viaggio nel tempo, dentro e fuori l’animo umano. Ho svolto un grosso lavoro di ricerca, soprattutto sui miti classici, che è stato molto stimolante. Le poesie di “Opache clessidre” si snodano lungo il filo conduttore dello scorrere del tempo. Inesorabile, ma che ritengo vada vissuto né con ansia né con immobile fatalismo, ma con maturità e consapevolezza. Infine, direi che il titolo “Dubbiose certezze”, sia di per sé emblematico; come ha scritto Bertolt Brecht: “Di tutte le cose sicure la più certa è il dubbio”.
S.B.: Quando la prossima presentazione?
S.G.: Il prossimo 31 marzo, presso la Biblioteca Navarria-Crifò, con Daniela Marra, psicologa e psicoterapeuta, nonché autrice di un ponderoso e poderoso saggio “La Colpa della Coscienza”, affronteremo il tema complesso e intrigante della colpa e della consapevolezza.
Una piccola selezione delle sue poesie fatta dall’autore.
1
Opache clessidre (da Opache clessidre, 2022)
Fogli strappati
da calendari.
Tacche incise
su pareti
umide e scure
decorano celle.
Inesorabili quarzi vibranti.
Serate all’aperto
a respirare
l’oro del plenilunio.
Muta pelle il serpente
rifioriscono mandorli
sulle nostre incanutite coscienze.
Invisibili a noi
grani di sabbia scorrono
in opache clessidre.
2
I (da Genealogici ingranaggi, 2021)
La goccia
scavava la roccia
in altri tempi.
O in altri
luoghi.
Non oggi
non qui.
La goccia scivola
lungo questa roccia
nera
massiccia
figlia del fuoco.
Senza intaccarla.
Forse teme
la goccia
di destare il gigante sopito.
Già da queste due poesie si nota come le semplici parole che l’autore sceglie a volte scabre, taglienti, dense, essenziali esprimono una gamma di sentimenti, la scala delle temperature, volontà per la potenza delle immagini che evocano tempi anche lontani e un sentire profondo. Parole che hanno il compito di rivelare il poeta, il suo sentire sia come spontanea liberazione, come apertura, confidenza, sia indipendentemente dalla sua volontà.
L’infinito, lo spazio, la luce che gli scienziati hanno scelto come unità di misura del tempo, ascoltiamo il poeta
3
Sussurri di luce (da Tèssere, 2019)
Da spazi
infiniti
mi giungono,
lenti,
sussurri
di luce.
4
Azzurre spire (da Relitti, 2020)
Azzurre spire
dal sigaro
si levano lente.
Una camera oscura
la mente.
Come cesoie
nelle mani di Atropo
due lame di luce
il filo troncano
di nefasti pensieri.
Perdute nel vento
le storie di ieri.
Nel sorriso di un bimbo
innocente
le storie
ancora da scrivere
in rosso
col liquido sole
dell’alba di domani.
Le storie di ieri già note e quelle da scrivere domani che cosa è l’oggi? Il ponte mobile tra i nostri passato e futuro. Quindi tra le nostre esperienze, quello che abbiamo vissuto e costruito e quello che vorremmo fare, le speranze, le visioni; pur con tanta incertezza che dipende dall’alea che sta nella natura stessa della vita.
5
La nebbia (da Tèssere, 2019)
Calda
e ovattata
la nebbia ci ha presi.
Per un attimo persi
ci cerchiamo.
In silenzio.
Non ti vedo
ma so che ci sei.
E in silenzio
dopo qualche attimo che ci lascia sospesi
le mie labbra
ritrovano le tue.
La poesia può essere definita lirica, è il canto di chi viaggia per luoghi solitari, nel buio foriero di tregenda per esorcizzare l’umana paura. Paura di cosa? Paura? Forse della solitudine; intesa come isolamento delle idee. Noi siamo animali sociali; anche se la solitudine può essere una scelta della vita quotidiana, soprattutto nel mondo di oggi sempre più complicato. Io oggi sento forte il desiderio di condividere con gli altri le mie idee, i miei sentimenti, i miei successi e le mie delusioni. E’ il motivo per cui da qualche anno rendo pubbliche le mie poesie, mentre per anni le ho scritte e tenute ben chiuse nel cassetto.
6
Una stella cadente (da Tèssere, 2019)
Era grande
e brillante
la luna stanotte.
Ma io guardavo
il quadrante
più nero del cielo.
Aspettavo
una stella cadente.
Era tiepido
il vento stanotte.
Mormorava
ancestrali litanie
e canti africani.
Profumava di gelsomino.
Profumava di ritorno
a casa.
Fino all’aurora
invano
ho aspettato
una stella cadente.
7
Grecale (da Relitti, 2020)
Occhi bigi
sguardi randagi
perforano
il livore
di quest’alba.
Grecale.
Beccheggiano
le barche
tendono ormeggi
nella risacca
schiumosa di rabbia gialla
inespressa.
Oggi le reti
non caleremo.
Domani forse
torneremo a pescare
sveleremo
segreti e malie
tradimenti e bugie.
Torneremo alla vita.
Dal tempo del dolore si può anche uscire, c’è anche il tempo della guarigione, del futuro, delle albe che verranno
Certo. Il futuro, l’incognita di quello che ci riserva la vita è lo stimolo principale per andare avanti.
8
Carillon (da Relitti, 2020)
Finisce la musica
si ferma
la ballerina del carillon.
Finisce un amore
si ferma il respiro
continuano a battere
due feriti cuori.
Ancora
Stella diana si perderà
nel sole che sorgerà domani
e ancora
Espero
la luna bacerà
ogni sera
da lontano.
Il tempo, ognuno il suo, si può declinare con la vita, la nostra che scorre, si ferma, riprende, a volte rimane sospesa.
Il mondo, l’universo continua la sua vita, anche se nella vita di un singolo individuo il tempo sembra essersi cristallizzato. Dobbiamo capire che siamo piccoli elementi di un qualcosa ben più grande. Il Creato?
9
L’ultima battaglia (da Opache clessidre, 2022)
È finita
l’ultima battaglia
il battito del tempo
s’è fermato
hai chiuso gli occhi
te ne sei andato
come l’ultimo
alito di vento
prima della quiete
assoluta
della pace.
Per l’irrequieto
spirito indomito
che sei stato
ora soltanto il silenzio.
A noi
innumerevoli
bellissimi
ricordi.
Finisce una vita. Resta il ricordo nei vivi dell’energia spesa in pensieri, parole, opere.
Aristotele dice che il tempo è solo un modo per misurare le cose o esiste un tempo assoluto che scorre per sé, indifferente alle cose umane? e cosa c’è al di là del nostro tempo? L’eternità è l’assenza di tempo.
10
Dall’altro lato dello specchio (da Opache clessidre, 2022)
Mi perderai
perché
è legge della vita.
Nessuno trova
le radici dell’arcobaleno.
Innocente
il sorriso
t’illumina lo sguardo
aria pura
che porterò con me.
Quando
racchiuso in una lacrima
il ricordo
ti accarezzerà il viso
sarò a guardarti
dall’altro lato dello specchio.
Einstein e la teoria della relatività hanno dimostrato come il tempo si possa contrarre e dilatare in funzione della velocità con cui ci si muove. L’astrofisica oggi ci dice che in prossimità di un buco nero (che attrae tutto verso di sé) esiste un orizzonte degli eventi, oltre non esce più la luce e il tempo si ferma. Ma prima ancora della scienza abbiamo innumerevoli esempi nel campo della mitologia e dell’arte sullo scorrere del tempo. Nella Bibbia Giosuè ottiene da Yahweh la sospensione del tempo e in un tramonto che non evolve mai a notte compie la sua vendetta distruggendo l’esercito Cananita. Oppure nell’Apocalisse di San Giovanni il tempo finisce (cadono le stelle e il cielo viene arrotolato) e inizia l’eternità (Giotto, la Cappella degli Scrovegni a Padova).
Ma possiamo ricordare “Gli orologi molli” di Dalì, un quadro del 1931 che poi sarà ridenominato “La persistenza della memoria”. Del resto per i surrealisti il mondo dell’inconscio è stato al centro del loro movimento ed era stato proprio Freud a sostenere che il presente di un individuo è fortemente influenzato dal suo passato, anche con meccanismi inconsci. Vedi Genealogici ingranaggi
E cosa c’è di più surreale di Alice nel paese delle meraviglie? Carrol lo scrive nel 1862 e tra i diversi personaggi c’è il Bianconiglio, ossessionato dallo scorrere del tempo
Il Bianconiglio rappresenta lo scorrere del tempo e il nostro rapporto con questa dimensione. “Vedi Opache clessidre– Alla domanda di Alice: Per quanto tempo è per sempre? Il Bianconiglio risponde: A volte, solo un secondo.