Dal duello alla shitstorm, analisi di una pratica abolita

«È meglio essere violenti se c’è violenza nel nostro cuore, piuttosto che coprire l’impotenza col mantello della non violenza» Mahatma Gandhi

I leoni da tastiera sono una triste componente dell’era digitale: spesso si nascondono dietro profili falsi, convinti di non poter essere rintracciati e di poter sfuggire alle conseguenze legali quando violano le leggi con diffamazioni, minacce e altre forme di violenza. Il fenomeno della shitstorm è logico: gli insicuri, i frustrati e i codardi contengono lo sfogo dell’aggressività per paura, finché non sono incoraggiati da una garanzia di anonimato o da un folto gruppo di simili; è il fenomeno del branco, insomma, che nasce nello stesso principio del bullismo. Come i bulli, i leoni da tastiera generalizzano e minimizzano le conseguenze delle loro azioni, dando sfogo a una vera e propria perversione da cui sfocia una delle forme più tristi della cattiveria, perché in questo caso l’empietà è proporzionale alla vigliaccheria.

Perché l’uomo tende all’aggressività? Se si analizza la tendenza etimologicamente e senza sovrastrutture, deriva dal latino adgreditor e significa letteralmente “avvicinarsi”; è un comportamento attivo, dinamico, indipendente e volontario. Inoltre, anche se al giorno d’oggi vige il paradosso di criminalizzare – anche violentemente! – ogni atteggiamento potenzialmente pericoloso per il prossimo, l’aggressività è una componente necessaria e inscindibile dalla natura umana. Ecco perché persino l’opposizione più pacifica dà sfogo all’aggressività come in un rapporto di causa effetto. In una dichiarazione non troppo famosa, Gandhi sostenne che è meglio essere violenti se c’è violenza nel nostro cuore, piuttosto che coprire l’impotenza col mantello della non violenza. La violenza è una conseguenza evitabile e condannabile dell’aggressività, ma in caso di difesa dipende esclusivamente dal contesto e dall’indole dell’individuo.

Per limitare questa conseguenza, dalla notte dei tempi, è stata tacitamente istituita una pratica che oggigiorno appare controversa e immorale: il duello. Momento epico e romantico di libri e film, soluzione ricorrente tra condottieri per evitare spargimenti di sangue tra gli eserciti in caso di guerra, conclusione di relazioni clandestine e culmine nella difesa dell’orgoglio tra adulteri e coniugi, nonché metodo elegante per risolvere potenziali schermaglie da locanda, è importante analizzare questo fenomeno ormai largamente in disuso. Il duello si appellava al senso dell’onore e imponeva delle regole ben precise affinché il rapporto tra i duellanti fosse il più paritario possibile, ecco perché gli scritti più antichi ricorrono al duello per narrare scontri impari. La Bibbia racconta come un pastorello di nome Davide possa uccidere un gigante come Golia; se non fosse un duello, probabilmente, Davide non sarebbe preparato allo scontro e Golia lo schiaccerebbe con facilità. Allo stesso modo, il mito racconta come un semidio di nome Eracle possa uccidere Anteo, un gigante che trae energia e forza costante al contatto con il suolo e pertanto invincibile; dato il contesto del duello, Eracle può usare la sua forza per sollevare Anteo da terra, renderlo vulnerabile e ucciderlo, secondo alcune fonti soffocandolo e secondo altre colpendolo con la clava.

Nella realtà, come ogni cosa, dipende molto dall’abilità e dalla familiarità con la pratica, oggetto di un vero e proprio allenamento; così come la dialettica, in fondo, e non è un caso che anche questa pratica sia quasi del tutto scomparsa e completamente svalutata. Infatti, è ipotizzabile che il duello e la dialettica siano strettamente connessi nella loro esistenza; l’arte del parlar bene e saper esporre le proprie opinioni con criterio impedisce fraintendimenti e, in base alla bravura del soggetto, può annullare ogni ulteriore scontro. Non solo: a meno che non si giunga alle offese personali, è difficile che sorgano i presupposti della giustificazione sociale del duello.

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