Nell’antico nucleo medievale della città sorge il Castello Aragonese di Piazza Armerina situato sul “Colle Mira”. Una fortezza che presenta una pianta rettangolare con quattro torrioni quadrangolari, disposti ai vertici che sono collegate da mura bastionate ad impianto trapezoidale di cui sono indubbi gli influssi dell’architettura federiciana sveva.
Il castello “ci sovrasta” ed è quello che volevamo puntualizzare nella nuova versione de l’Inferno di Anfuso. Ormai per quanto ci riguarda e di location storiche si parla, sia dal punto di vista naturalistico, le Gole dell’Alcantara, e il Nuovo Teatro Val D’Agrò a Santa Teresa di Riva, Noto e le Cave del Gonfalone di Ragusa, e storico, il Cortile Platamone di Catania e il Castello Aragonese di Piazza Armerina, quello che ci affascina e ci ipnotizza delle produzioni Anfusiane, a noi, che come testata giornalistica lo seguiamo nelle sue evoluzioni e trasposizioni che non fanno altro che esaltare i “luoghi meravigliosamente isolani”, “noi”, e ribadisco il pluralis maiestatis, ogni volta ne rimaniamo, come soggiogati.
Quando nelle Gole dell’Alcantara i versi tuonanti degli attori risuonavano nell’aere sparso, cosicché ai nostri piedi risuonava il trepido fiume e Paolo (Mirko Russo) e Francesca ci raccontavano il loro amore in divenire, nel Castello, Francesca, l’attrice Giovanna Mangiù, l’abbiamo vista in volto, nelle sue nude carni tremare, e ansimare, disfatta dal suo caldo distacco infernale, e Paolo vacillare perché “Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e ‘l modo ancor m’offende. Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. Amor condusse noi ad una morte. Caina attende chi a vita ci spense”.
“Queste parole da lor ci fuor porte”. Dante (Angelo D’Agosta) e Virgilio (Ivan Giambirtone) sono i narratori. Di quello che succede, e ci succede vicino a due passi ma su un palcoscenico che è un torrione: come vedere un film dove il regista è lì a due passi: si sente il soffio di Peter Greenway, di Stanley Kubrick, di Lars Von Trier, rispettivamente nelle produzioni de “I giardini di Compton House”, “Barry Lyndon” e “The Kingdom”. In un’ora troviamo tutto ciò che può esprimere il conscio e l’inconscio, la luce e l’oscurità, l’estasi e l’angoscia, la gioia e la depressione, ogni estrinsecazione dell’umanità.
La differenza conclamata rispetto alla location dell’acqua, seppure bramata dallo stesso regista che si rispecchiava in Dante, entrava in contrasto con il Castello, dove il potere si incarnava in una nuova dimensione: ma seppur vero che la scena originale si svolge in una bolgia, quella dei lussuriosi, eppur vero che un castello con tutte le sue finestre e sotterranei ben rappresenta l’essere umano con il suo Ego, il Super-ego e l’Es sotterraneo. Infatti così è stato. Ulisse (Liborio Natali) da una finestra ci ha raccontato usando peraltro la Sua ombra inconscia con chi stava accanto a Lui, che disse: “Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”.
E per “canoscenza” s’intende una conoscenza reale delle cose, non saccenteria e fantascienza. Quello che Ugolino sa, è quello che Ugolino (Davide Sbrogiò) “apparecchia”. Sulle sponde dell’Alcantara abbiamo metri di distacco, elaborazioni immaginative d’usucapione, (tipo film Hannibal The Cannibal), pensiamo che non può essere così: invece al Castello vediamo che è così: “più che ‘l dolor potè il digiuno”, e applaudiamo pure!!! E le ragazze le dannate che salgono e scendono e ci dolgono con gli sguardi profondi e agguerriti: tutto avviene in un balzo senza soluzione di continuità. Ci dispiace davvero che sia finita: stavamo appena per entrare in una terapia come uno psicodramma di comunità. Mancano all’appello di questa prodigiosa macchina infernale: Liliana Randi (Narratrice), Luciano Fioretto (Turista/Caronte) e le dannate Chiara Barbera, Federica Bardaré, Giorgia Bardaré, Sara Campione, Rebecca Di Dio, Sara Guccio, Nicole Marino e Odile Platania.
Senza considerare che per colpa di Giovanni Anfuso ho scoperto la bellezza di Piazza Armerina, le sue chiese, il suo centro storico, la Commenda dei Cavalieri di Malta e il giorno dopo è stato meraviglioso riscoprire da grande i mosaici della Villa del Casale. Ho conosciuto delle belle persone curiose intelligenti in un’enoteca a piazza Garibaldi, saranno i semi di papavero che mettono nel loro pane che li fa sentire capaci tutti di avere un’opinione e di raccontartela per la strada senza manco conoscerti: e sì come ha detto bene Giovanni Anfuso di Piazza Armerina: “Anche Dante sarebbe stato felice di essere rappresentato qui”. Fino all’11 agosto.