Le recensioni vanno fatte per tempo dice il vecchio giornalista attempato, ma quando lo spettacolo riguarda l’attore, regista e sceneggiatore Valerio Santi, questo adagio non ha nessuna collocazione. I suoi lavori una volta visti vanno sedimentati centellinati e rivisti nell’immaginazione con il senno di poi: perché se ha scelto quel testo invece di un altro ci sarà stato un motivo! Quando ci racconta che ha dovuto sostituire uno dei ciarlatani, dando vita ad un personaggio arlecchinesco, con tutti i sotterfugi tipici del servitore di due padroni, corpo, mente e cuore che agisce sul palcoscenico, ci ha ricordato che la provvidenza non viene mai per nuocere dandoci la possibilità di vedere un novello Dario Fo, nella figura del suo Zanni.
I personaggi e gli attori c’erano tutti: il pantalone nel personaggio dell’alcalde (una sorta di sindaco della dominazione spagnola), l’amoroso (Pierrot) e l’amorosa (Isabella), il grottesco fidanzato imposto che rappresenta il Capitano sbruffone e pieno di sé e infine il suo compagno di sventura, un vernacolare pulcinella. Valerio Santi li ha truccati come burattini, come in un mazzo di carte: regista ardito e sagace è riuscito ad intrecciare la commedia dell’arte con il vaudeville. Ovvero il borghese e la rappresentazione di sé stesso, il borghese allo specchio, soprattutto lo specchio degli altri. Perché come spiegheremo “i ciarlatani sono gli altri, che noi siamo portatori di verità”, una verità spesso dogmatica nata per nascondere i segreti messi in evidenza.
Il “borghese” che assiste a una pièce di Scribe e lo siamo un po’ tutti alla fine, dice tra sé che con la forza dell’abitudine e all’allenamento con un alto numero di collaboratori riuscirebbe a fare egli stesso altrettanto, cioè diventare un “faiseur de secret”, dei “creatori di segreti”, ovvero siamo tutti guaritori, poiché così i ciarlatani erano designati, una sorta di alchimisti su cui circolavano molte frasi fatte. Ad esempio Alexandre Dumas figlio, se ne uscì dicendo che Eugene Scribe era “lo Shakespeare delle ombre cinesi”.
Come paragonare Scribe a Shakespeare? I personaggi di Shakespeare vivono una vita intensa, hanno una fisionomia specifica, dei tratti psicologici caratteristici manifestando una passione che rasenta la follia. In Scribe questa intensità viene descritta come delle ombre cinesi: figurine prive di spessore e di veridicità, comunque nella frase ci stava un genio come Shakespeare, per cui essere “l’ombra di un genio” poteva pure stargli bene al nostro autore.
Comunque vadano gli eventi all’interno di una performance, tre sono le forze dominanti di uno scrittore geniale: il carattere, le passioni e gli avvenimenti. Così può avere tre sviluppi diversi: commedie di carattere che si focalizzano sugli uomini che sfruttano o subiscono tali personalità; l’obiettivo sulle passioni che infiammano i cuori che in breve tempo prendono decisioni estreme, tipo il dramma nel concepire l’arte; e poi quando il movente delle azioni, la formazione dei caratteri e l’indomabilità delle passioni, viene influenzata dagli avvenimenti scaturiti da essa e destinati a complicarla (il genere diventa vaudeville) essa necessita, per essere rappresentata, di una certa abilità di mestiere, per cui il risultato è un capolavoro degno della massima stima.
Infatti Augustin Eugène Scribe nato a Parigi, 24 dicembre 1791 – Parigi, 20 febbraio 1861) scrittore, drammaturgo e librettista francese a suo modo lo è stato. Genio dicevamo soprattutto fino a quando è vissuto. Soltanto per la quantità di produzione: compose circa cinquecento lavori: commedie, vaudevilles, drammi, libretti d’opera. Scribe ha ideato un tipo di pièce teatrale che conquistò il pubblico con il suo impianto drammatico perfetto. Nelle sue commedie e vaudevilles, egli inizia generalmente con un incidente al momento apparentemente di poco conto che tuttavia produce conseguenze importanti attraverso una catena logica di eventi, priva di qualsiasi svirgolatura. Grazie anche ai numerosi collaboratori di cui si avvaleva, Scribe fu uno dei più prolifici scrittori francesi ed uno dei librettisti d’opera più fecondi. Le sue pièce teatrali, in gran parte vaudevilles, erano il frutto di una ripartizione quasi industriale del lavoro. Scribe forniva le idee e distribuiva una indicazione generale dei contenuti ai suoi numerosi collaboratori, ciascuno dei quali doveva scrivere un tipo di scena specificamente assegnatagli: dialoghi, strofe, battute umoristiche, etc. I suoi vaudevilles costituirono la colonna portante del Théâtre du Gymnase-Dramatique del quale, nel 1820 Scribe fu cofondatore. Egli fino all’incirca al 1830 ottenne quasi sempre successi. Durante il suo periodo d’oro offriva con regolarità al suo affezionato pubblico una prima teatrale e la maggior parte delle sue commedie furono rappresentate a Parigi per la prima volta dalla Comédie Française. Scribe raggiunse la fama internazionale come librettista di numerosi e famosi compositori d’opera tra i quali: Gaetano Donizetti, Gioachino Rossini e Giuseppe Verdi.
Anche il grande musicista tedesco Richard Wagner volle fare la sua conoscenza e cercò di entrare in contatto con lui tramite il cognato che nel 1837 era diventato direttore della filiale di Parigi della casa editrice tedesca Brockhaus, ma Scribe non era interessato a lavorare per Wagner e si negò. In totale le opere di Scribe superano il numero di 400 titoli, che però, dopo il lungo periodo di successi, passarono rapidamente di moda. Dopo la morte la sua salma fu tumulata al cimitero di Père-Lachaise di Parigi.
Ma entriamo nel merito del significato del termine ciarlatano secondo Fulcanelli nel suo saggio, “Il Mistero delle Cattedrali”: “La scienza che studiamo è concreta, reale ed esatta quanto l’ottica, la geometria o la meccanica. I suoi risultati sono tangibili quanto quelli della chimica. Se l’entusiasmo, la fede intima, sono di stimolo quali ausili preziosi; se entrano in parte nella guida e nell’orientamento delle nostre ricerche, tuttavia dobbiamo evitare gli errori subordinandoli alla logica, al ragionamento, sottomettendoli al criterio dell’esperienza. Ricordiamoci che sono le truffe di avidi soffiatori, le pratiche insensate dei ciarlatani, le assurdità di scrittori ignoranti e senza scrupoli che hanno gettato il discredito sulla verità ermetica”.
La storia dei ciarlatani di Scribe rivela una ricerca della Pietra Filosofale in maniera ironica, che ritorna in pieno ottocento, dopo che nel settecento l’alchimia, ebbe un grande momento di diffusione. L’idea di poter portare in vita i morti del paese in cui i ciarlatani arrivano, va da sé come un buon vaudeville, come abbiamo spiegato prima, ha creato un destino, un tracciato, un karma, che gli abitanti non vogliono condividere: un esempio valido per tutti, l’alcalde che comandava il paese non voleva certo che l’alcalde precedente tornasse in vita; o la vedova risposata col suo amore non vuole portare in vita il marito precedente, vecchio e bavoso. Ma invece c’è una ragazza che si è fidanzata male e che si ricorda del suo vero amore: lei sì che vorrebbe riportare in vita il suo ragazzo, che partito per la guerra, non si sa che fine abbia fatto. È disposta a dare metà delle sue ricchezze e così i ciarlatani riescono ad ottenere denaro per “non” riportare in vita persone scomode per gli abitanti del paese e riportano “fintamente” in vita colui che di fatto non era morto, senza farsi pagare minimamente dalla ragazza, ma anzi stimolando il suo affetto nei loro confronti.
E qual è la morale di questa storia? Soprattutto qual è il motivo per riportare in vita questa storia? Il raffinato Valerio Santi regista e in questo caso fine attore di commedia dell’arte, come dicevamo, mescola i generi cercando nuove strade di commistione sperimentale un po’ indigene, riportando indietro i suoi spettatori, cercando di renderli sensibili a quelle sfumature che ormai da tempo una televisione fatta di grossolani intrighi e sordide violenze ha reso un po’ bulimici reazionari di una malattia pandemica: l’apatia cronica da mancanza di connessione e non di internet parliamo. La sconnessione tra quello che la bocca dice e la testa pensa senza più riuscire a pensare a qualcosa di intelligente che abbia un senso tra passato e futuro.