Ogni volta che Valentina Sorrentino apre un mondo con i suoi meravigliosi quadri mi spinge ad iniziare una ricerca per trovare una storia che giustifica le nostre origini e del perché siamo su questa terra. Questa è la volta della Sibilla e di quella Cumana stiamo parlando, perché ne esistono tante altre…quante ne sono di Donne su questa terra, ma di quelle con la D maiuscola, che non moriranno mai e di cui si sentirà la voce per sempre…
Valentina Sorrentino pittrice
“Ego pulveris hausti ostendi cumulum: quot haberet corpora pulvis, tot mihi natales contingere vana rogavi; excidit, ut peterem iuvenes quoque protinus annos” (Ovidio, le Metamorfosi)
Sciagurata, sciocca che non sono altro! Fu così che invecchiai, vittima della mia dimenticanza, proprio io, somma sacerdotessa, grande tra le Sibille. Io, che a moltitudini di genti avevo elargito profezie e divinazioni, non fui in grado di prevedere quanto mi sarebbe costato sottrarmi alle lusinghe di Apollo che mi amava e, bramando la mia verginità, un giorno mi disse “Esprimi un desiderio, vergine cumana: sarà esaudito”. Chiesi gli anni, dimenticai la giovinezza: sciocca! Carne e ossa si consumarono, ogni parte di me si sgretolò e divenne polvere. Tutto tranne la voce, che rimase integra, intatta, risonante nell’antro. Altrettanto intatta si conservò la mia fama, certo… ma questo non impedì a posteri eccellenti di raffigurarmi decrepita in più di un’occasione.
Chissà, forse sarebbero più o meno queste, se potessi chiacchierare oggi con lei, le parole della Sibilla Cumana: sei sillabe che rievocano una moltitudine di sensazioni, crocevia di miti, archeologia, fantasie. Non è difficile ritrovarsi, in un attimo, catapultati dal suono a passeggio nella storia di questo personaggio e, tanto per non rischiare di sembrare anacronistici, a riflettere sull’atavica condizione di subordinazione della donna che, volente o nolente, occupa l’agognato posto di oggetto subalterno al cospetto dell’uomo (figurarsi poi se l’uomo in questione è un dio e non un semplice mortale). Pena? L’estinzione, la mortificazione, inesorabili quand’anche si tratti della grande, immensa Sibilla Cumana. Somma sacerdotessa, un concentrato di carisma e fascino che ho amato immaginare, per una volta, in una chiave diversa, mantenendone inalterate caparbietà e intenzioni, ma cogliendola volutamente di sorpresa, nello scorrere del proprio destino, in un attimo di improvvisa assennatezza. Eccola qui tra i fumi e l’alloro, tornata a giocarsi la rivincita sul destino e a vaticinare, per una volta, non quello d’altri ma il proprio avvenire. Blocca il suo tempo, lascia correre via i granelli, moltitudine di anni che le scorrono via dal pugno riscrivendone il mito e dando nuova voce a questa metamorfosi, quella voce narrante che forse, dall’antro, prestando attenzione, sembra ancora narrare la storia di una donna straordinaria, immortale.
“Usque adeo mutata ferar nullique videnda, voce tamen noscar, vocem mihi fata reliquent”
Susanna Basile psicologa
Nel mondo antico esistevano indovini ed i profeti che posseduti da un dio emettevano predizioni. Nelle sedi degli oracoli erano esistite anche delle interpreti femminili della parola divina, immortali e isolate dal mondo poco inclini a mostrarsi; queste erano appunto le “Sibille”. La Pizia di Delfi è il caso più noto, ma Varrone ne elencò ben dieci: la persiana, l’eritrea, l’ellespontia, la frigia, la cimmeria, la libica, la delfica, la samia, la cumana e la tiburtina. Alcuni pensavano si trattasse in realtà di un’unica Sibilla, immortale, che si spostava nei diversi luoghi.
Nel Medioevo si cercò di individuare, la sede dell’oracolo. Il rilievo dato da Virgilio nell’episodio della discesa agli Inferi di Enea, avvenuta sotto la guida della profetessa, portò però a cercare l’antro sulla sponda del lago d’Averno, la “Grotta della Sibilla”. La visita all’antro dell’Averno rimase fin quasi al secolo scorso una delle tappe più suggestive del Grand Tour. Nel Settecento a Goethe ed a Mozart fu indicato il Lago di Averno come sede della Sibilla, mentre le rovine dell’Acropoli di Cuma, ormai da tempo interrate, giacevano in un secolare abbandono.
La Sibilla, portò a Tarquinio il Superbo, uno dei re di Roma, nove libri che, a suo dire, contenevano degli oracoli. La donna gli propose di acquistarli a una somma molto elevata. Tarquinio pensò che fosse pazza e scoppiò a ridere. Allora l’anziana, imperturbabile, pose dinanzi al re un focolare portatile e bruciò tre dei libri, “acquista pure i restanti al medesimo prezzo”. A quel punto l’ilarità di Tarquinio divenne irrefrenabile, ma la donna bruciò altri tre libri e chiese di nuovo lo stesso prezzo. Così il re si fece serio e decise di prendere i tre libri rimasti senza nemmeno contrattare. La vecchia, dopo aver consegnato i tre “Libri Sibillini”, scomparve.
Nei poeti posteriori a Virgilio la grandezza della Sibilla Cumana cedé il posto a elementi popolareschi. Properzio, Ovidio e Lucano tracciano la figura della longeva Sibilla con mille anni di vita, mentre Petronio descrive una Sibilla decrepita che Apollo ha reso immortale ma non eternamente giovane, per cui, ridotta ad un minuscolo essere, rinchiuso in una bottiglia, invoca in greco la morte.
Nel Medioevo la Sibilla Cumana rientrò a pieno titolo tra i profeti che avevano preannunciata l’era cristiana e la fine dei tempi pagani, come sentenziò Tommaso da Celano ponendola come testimone, accanto a Davide, nel giorno del Giudizio Universale. Venne inglobata nella teologia cristiana, la Sibilla Cumana, assieme a quella Delfica ed alle altre, venne raffigurata, contrapponendole ai profeti, da Michelangelo nella Cappella Sistina.
Da un punto di vista psicanalitico la leggenda della Sibilla Cumana riguarda il consumarsi del sacro femminino, la possibilità della propria integrità solo attraverso la verginità infatti è rappresentata dalla giovane fanciulla di superba bellezza della quale il Dio Apollo, si innamora e le promette di esaudire ogni suo desiderio. Sibilla prende un pugno di sabbia dalla spiaggia e chiede ad Apollo di lasciarla vivere tanti anni quanti i granelli che aveva raccolto nella sua mano. Il Dio l’accontentò ma la fanciulla commette un grave errore: si dimentica di chiedere di restare giovane. Si dice che Apollo le concesse ancora una possibilità: se la Sibilla fosse diventata completamente sua, le avrebbe ridato la giovinezza. Sibilla non volle perdere la propria verginità ed andò incontro al triste destino. La leggenda, pare sia stata diffusa per dare una spiegazione dei motivi per i quali i pellegrini, una volta recatisi nell’antro, non riuscissero di fatto ad incontrare la tanto desiderata sacerdotessa, anche per evitare che fosse violata ogni volta.
Poiché la verità è nuda la nostra artista l’ha ritratta nuda; poiché la verità è difficile da interpretare la Sibilla sta di spalle e più non “dimandare”; poiché non ha ceduto alle mire di Apollo lei decide di lasciare andare i granelli di sabbia e morire quando le pare. Lei invecchiava sempre di più fin quando si tramutò in una piccola larva; Apollo per preservarla dall’incuria del tempo, la collocò in una gabbietta all’interno dell’antro, finché di lei non rimase che la voce, l’unica testimonianza fisica della sua presenza che profetizzò ancora a lungo, gli eventi futuri. La leggenda vuole che solo un pugno di terra natia avrebbe spezzato l’incantesimo essendo prigioniera della sua eternità e sarebbe potuta morire in pace.