In sede di preparazione alla maturità classica mio figlio Enrico ha studiato la vita e le opere di Vitaliano Brancati e, aiutandolo nelle ripetizioni, mi ha indotto a rileggere la biografia e alcune note sull’opera dell’autore.
Mi è subito balenata la densità, vorrei dire l ’intensità umorale di Vitaliano Brancati, che ne ha fatto un perfetto descrittore degli eccessi dei siciliani. Nei suoi racconti egli ha rappresentato la sicilianità non come colpa, ma come coscienza infetta e dolorosa. E in questo senso la sua migliore produzione (Don Giovanni in Sicilia, 1941; Il vecchio con gli stivali, 1945; Il bell’Antonio, 1949; Paolo il caldo, 1955), è univocamente caratterizzata da un interesse pungente per la società e il costume siciliano contemporaneo.
Brancati assume nei suoi racconti un atteggiamento fra moralistico e umoristico e i suoi personaggi desiderano evadere dalla realtà borghese che li ha generati verso una felicità impossibile, rivelano un anelito più ampio.
I racconti di Brancati, perlopiù riversati nel cinema ma anche nel teatro, danno vita ad una rappresentazione che tiene insieme elementi dell’antico mimo e dell’opera buffa, e che concilia la lezione di Pirandello con la narrativa di Sciascia.
In tutto quello che propone Brancati coinvolge la sua anima innestandovi la volubile vivacità dell’inventiva.
Ecco, l’inventiva e la vivacità dei personaggi brancatiani invece che elemento distintivo diventano un concetto eccessivamente penalizzante, allorché, veicolati acriticamente, degenerano in quell’accezione di ‘gallismo’ che è stata sbrigativamente attribuita ai personaggi di alcuni suoi romanzi.
Si può dire che l’equivoco è diventato odioso stereotipo come accade purtroppo anche oggi per tanti elementi di sicilianità che è comodo e superficiale continuare a leggere nella stessa direzione.
Per fortuna la statura del personaggio e la sua produzione letteraria riescono a fornire una molteplicità di chiavi di lettura.
Una, in particolare, mi sembra vada sottolineata.
Brancati da scrittore meridionale si confronta con la quotidiana vita del Sud ma vorrebbe testimoniare i caratteri più ampi di una cultura diversa europea, che sa confrontarsi anche paradossalmente, col Nord.
In fondo non è troppo distante ed è sempre percorribile l’accostamento dei personaggi brancatiani alla letteratura francese.
C’è infatti un legame speciale che collega gli intellettuali siciliani alla Francia. Sciascia si riforniva abitualmente di libri e di articoli di Parigi, assunta a luogo di costante ispirazione .
Uno di questi fu il libro di Hélène Tuzet Viaggiatori stranieri in Sicilia nel XVIII secolo che Sciascia fece tradurre.
Lo scrittore di Racalmuto scrive delle cose molto acute in ‘La Sicilia come metafora’ – una lunga intervista rilasciata alla giornalista francese Marcelle Padovani – su questo speciale rapporto che lega l’Isola alla Francia dai tempi dei Vespri quanto meno. Dice Sciascia in questo libro che «nell’epoca dell’Illuminismo […] si vedono i letterati prendere a modello i razionalisti francesi. Se si consultano i registri di dogana e di polizia, si costata allora che l’importazione di libri francesi è sbalorditiva: Rousseau, Voltaire, L’Encyclopédie, Montesquieu […] Stendhal dirà in seguito che i libri in francese vendevano poco in Italia, tranne che in Sicilia, dove ogni libro toccava il centinaio di copie’.
Ed anche Brancati non fa eccezione nel suo costante riferimento letterario francese.
Ad ‘Armance’ di Stendhal ruba l’ispirazione per il suo Bell’Antonio e anche leggendo altri volumi di Brancati al lettore può sembrare di imbattersi in altri maestri quali Chateaubriand o Flaubert.
Come tutti gli scrittori meridionali Brancati ha un fondo cupamente tragico, perché la solarità dell’isola si associa anche a qualcosa di tremendamente malinconico. Anche in Brancati in certi momenti si affaccia questa dimensione malinconica, ma in lui c’è una volontà far prevalere la presenza dei profumi e dei colori quotidiani, pur sapendo che tutto ciò genera contraddizioni.
Brancati nel testimoniare le contraddizioni e i chiaroscuro della letteratura siciliana mantiene un rapporto vivo con la tradizione. Come lui testimone dell’illuministica siciliana è anche Sciascia che però risulta molto diverso da lui per la mancanza di senso del comico. Volendo, c’è un filo rosso che li collega.
Sciascia parla spesso della Sicilia come metafora perché l’isola riesce ad essere metafora del mondo.
Anche Brancati parlando di una realtà molto minuta, particolare, chiusa addirittura nel cerchio di una città come Catania parla del mondo, di ciò che diviene, di ciò che di bello, affascinante e di negativo e di distruttivo c’è nel mondo contemporaneo. Pur essendo un grande scrittore provinciale, Brancati è anche un grande scrittore europeo, dimensione di solito sottolineata troppo poco, e che andrebbe scoperta e affermata molto più di quanto si sia fatto finora.
La Sicilia di Brancati oggi non c’è più, ma Brancati con la sua capacità eccezionale di afferrare il colore del tempo, lo fa vivere per sempre.
L’ultimo suo romanzo è l’incompiuto Paolo il Caldo in cui Brancati vuole cercare a tutti i costi di portare alla luce le debolezze che tolgono consistenza al suo dongiovanni siciliano, che deformano il suo rapporto col mondo, che lo allontanano dalla felicità e dalla ragione.
Brancati narratore è uno, come disse anche Sciascia, che fa una sorta d’autobiografia della nazione: rappresentando dei personaggi particolari parla di che cosa è diventata l’Italia dei suoi anni. C’è un implicito respiro saggistico, giornalistico e teatrale dentro la sua stessa narrativa che va oltre la provincia che descrive.
In questo senso Brancati è narratore di respiro europeo ed è senz’altro da rivalutare.