Metafisica del sesso, uno dei libri, lo diciamo sempre ogni puntata, uno dei libri più interessanti di Evola, perché esula un po’ dal suo programma, chiamiamolo così, filosofico, nazionale, socialista, come riparte, perché per troppo tempo Evola è stato sempre etichettato come un autore di destra, quindi poco studiato, poco utilizzato poi negli anni successivi ai suoi testi. Metafisica del sesso rappresenta invece un testo di studio, no, professore Luca Siniscalco? Non crede che poi in effetti è un testo da studio, quello suo? Non è un testo opinionistico rispetto ad altri testi? No, è un testo assolutamente ponderato, basato su un’ampissima mole di materiali tratti dalla storia delle religioni, dall’antropologia, ma anche dalla psicologia, dalla filosofia, dalla storia delle culture, persino dalla letteratura, e rappresenta quindi sicuramente un testo estremamente ricco, non soltanto per conoscere le tesi specifiche di Evola, ma anche per attingere ad un’ampia messa di materiali che Evola ci ha reso disponibili, talvolta attraverso originali traduzioni, in altri casi recuperando e portando a visibilità materiali poco noti, difficili da reperire. Nell’ultimo incontro ci siamo lasciati trattando appunto il quarto capitolo, in particolare il paragrafo dedicato all’analisi con cui Evola descrive il passaggio del principio del maschile e del femminile dal piano propriamente ontologico a quello della manifestazione, quindi della loro apparizione concreta all’interno della storia, perché se il maschile e il femminile rappresentano una dualità che da un punto di vista metafisico va intesa come costituente l’unità cosmica fondamentale, questi poi si declinano nella concretezza della storia dei corpi e delle psiche di uomini e donne e all’interno delle figure del mito, quindi ci eravamo lasciati su questo passaggio.
Magari riprendo, per delineare questo aspetto, l’interessante citazione da parte di Evola di un pensatore cristiano, Scoto Eriugena, il quale esprimendo con il linguaggio della teologia una sapienza molto più arcaica, di tipo ermetico alchemico, sosteneva come la differenziazione sessuale, quindi maschile e femminile, fosse propriamente il segnale dell’ingresso dell’uomo nella storia, perché in Dio non vi è alcun tipo di scissione, quindi non vi è una divisione fra maschile e femminile. Ma se questo aspetto rappresenta in termini diacronici una testimonianza dell’accaduto, al contempo in termini inversi può rappresentare una possibilità di ascesa, perché l’uomo che è consapevole di questo suo dimidiamento, di essere dimidiato, ha la possibilità di ricercare l’unità. Cito il passaggio di Eriugena, citato dallo stesso Evola, la riunificazione delle sostanze deve cominciare nell’uomo e ripercorrere gli stessi gradi fino a Dio, in cui non vi è divisione alcuna, perché lui tutto è uno.
L’unificazione delle creature comincia perciò dall’uomo. Quindi questa prospettiva che attribuisce una grande dignità, all’uomo, permette di concepire il percorso esistenziale come una ricerca inesausta di questa riunificazione, che ha, dice Evola, all’interno di questo immaginario cristiano, una vera e propria controparte escatologica, perché la riunificazione del maschile e del femminile diventa il segno di una possibile riunificazione, alla fine dei tempi, di terra e cielo, quindi con l’instaurazione del regno di Dio. Quella che Evola definisce come una riunificazione ripristinatrice dell’originaria dignità ontologica dell’essere.
Ecco, questo mito, o questa promessa teologica, è ben sintetizzata in una figura che forse abbiamo già evocato, che è quella dell’androgeno o del rebis alchemico, quell’essere doppio in cui la dualità appunto è ripristinata come unità.
Sì, infatti ne abbiamo parlato più volte, più volte però ci interessa ritornare a questo concetto, perché è necessario poi poter dividere per poter capire la parte maschile e la parte femminile, perché la tendenza dovrebbe essere quella appunto di arrivare all’androgeno, così come vedremo nei paragrafi successivi, in realtà, come la donna, originariamente non era definita come un uomo malriuscito, come poi viene tradotto successivamente dai vari filosofi cattolici, ma in realtà la donna contiene, riesce, l’avevamo visto l’altra volta, non ha forma, mentre l’uomo ha forma, quindi la donna è il contenitore, chiamiamolo infinito da questo punto di vista, per cui se non ci fosse stato poi l’uomo non ci sarebbe stato movimento, cambiamento, sarebbe stato tutto al femminile in questo senso. Quindi è necessario l’androgeno, è necessario dividerlo, per questo ci siamo trattenuti un po’ più su questo paragrafo, per poter introdurre quello successivo.
Sì, necessario intendi nel senso che quel processo che ha dato vita di fatto alla storia, della misura in cui appunto è la polarità sessuale nella visione evoliana che permette questo dinamismo fra principi senza il quale vi sarebbe solo la stasi, l’immobilità. Infatti abbiamo introdotto da questo punto di vista l’immagine della donna demetrica e la donna afroditica, in cui invece nella parte maschile c’è solo una parte virile, nella parte della virilità. Quindi la donna ha queste due possibilità, chiamiamole così, da questo punto di vista.
L’uomo ha soltanto il discorso di mantenere questo eros, questa virilità che gli serve per, poi alla fine lo vedremo nel paragrafo, non subito in questo, ma in quello successivo, che riguarda appunto l’erezione, il fallo, da questo punto di vista. Parliamo da un punto di vista estremamente estetico, come direbbe qualcuno, oppure fisico, però in realtà poi dietro la fisicità e la virilità dell’uomo c’è un discorso sia psichico, sia fisiologico, che ha a che fare con l’eros. Possiamo allora forse procedere con il paragrafo successivo, che è intitolato «Sulla demonia del femminile, il simbolismo dell’amplesso invertito».
Scusa se rido, penso alle facce dei nostri spettatori. «Sulla demonia del femminile, il simbolismo dell’amplesso invertito». Ora Luca ci spiegherà cosa voleva dire Evola.
Due temi che non sono ovviamente collegati, come tutto il capitolo, ma sono in qualche modo a mio avviso da trattare autonomamente. Sono due tracce diverse che Evola inserisce in questo capitolo, di cui forse il secondo è particolarmente interessante a mio avviso. La riflessione sulla demonia del femminile rappresenta un’ulteriore specificazione di Evola delle caratteristiche del principio femminile e rappresenta un ulteriore approfondimento delle caratteristiche morfologiche e fenomenologiche del femminile, che spesso dice Evola, riportando esempi di carattere religioso, in particolare alla cabala e alla religione egizia, è stato associato a un principio demonico, non demoniaco nel senso satanico e malevolo del termine, diciamo in un pianto soltanto monoteistico, ma a quella figura che nel mondo greco veniva chiamato daimon e che ha avuto diverse rappresentazioni, legato a delle forze di carattere antisolare, non luminoso ma piuttosto octonio, sublunare, infero, una forma di potenza di luminoso particolarmente perturbante, ma non malvagio in termini etici.
Questa tendenza associata al femminile proprio per le caratteristiche che abbiamo visto prima, evidentemente è la donna in quanto legata più dell’uomo alla dimensione ctonia, alla dimensione materiale, a poter ospitare in sé questo principio che è fortemente antisolare, antiolimpico, quindi contrapposto in particolare a quella fenomenologia del maschile che Evola aveva associato alla dimensione luminosa o all’ascetismo appollinio olimpico. Evola in particolare spiega che la tendenza demonica femminile si manifesta, e qui lo cito, nel capturare, assorbire il principio della virilità trascendente o magica, principio da riferirsi in genere a ciò che nel maschile rispecchia l’elemento sovrannaturale, anteriore alla diade, a ciò che nella natura è superiore alla natura e che virtualmente avrebbe il potere di far risalire in alto la corrente ed infrangere il vincolo cosmico. E’ come cioè se alcuni aspetti demonici associati ad alcune eroine o divinità femminili controbilanciassero questa tendenza alla verticalità, all’ascesi e alla sovrannaturalità propria dell’archetipo maschile, tendendo piuttosto a conservare l’uomo nella sua dimensione naturale e quindi bloccandone l’ascesa spirituale.
Questa funzione quindi antagonistica, in una certa misura, fa ancora parte di quel legame che Evola intravede fra il principio femminile e quello naturale, che ha ovviamente dei limiti, delle problematicità in ambito spirituale nel momento che può sbarrare in qualche modo l’accesso all’uomo nei confronti di una crescita spirituale e questo in termini più materiali si lega all’idea che la donna possa sedurre l’uomo e quindi far convogliare tutte le sue energie su di sé e non su altri compiti di carattere appunto spirituale, sapienziale, ascetico. Ma al contempo non è come stigmatizzato in termini morali, ma è visto come un altro tipo di potenza di carattere cosmico, più legato appunto alla simbologia Ktonia Infernale Tellurica e simbolizzato e capace di alimentare, dice Evola, ad esempio, i misteri minori, i misteri isiaci o della donna, che sono legati soprattutto a questa centralità della simbologia femminile e che Evola distingue in questo capitolo da altri tipi di misteri, quelli legati appunto all’ascesa, che sono invece connotati in un senso più virile e chiamati da Evola misteri maggiori o ammonici. Ecco questo è il primo tema, quello della demonìa.
Per tornare al discorso sempre psicologico e comunque sempre radicato, perché poi alla fine nel nostro immaginario, che si è ripresentato anche durante il periodo dell’Ottocento, nel romanticismo, nella scapigliatura, la donna vampiro, mi viene proprio in mente. E c’è questa parte qui che volevo leggere, così si è potuto parlare di una morte suggente che all’uomo viene dalla donna, perché perdere la “viria”, il principio magico virile, nel punto del confondersi con la sostanza femminile fatta di desiderio, è uguale per l’uomo a essere cancellato dal libro della vita, vita naturalmente in un senso superiore, traslato, iniziatico.
Un po’ come retaggio, Luca, è rimasto questo discorso della donna che succhia la vitalità all’uomo? Sì, questa, come dicevi giustamente, è un’immagine molto antica che poi tra l’Ottocento e il Novecento è anche penetrata nell’ambito della letteratura, dell’estetica, dell’arte.
Si è incarnata in quei tipi femminili particolarmente inquietanti e perturbanti, capaci però di grande fascino e di attrattiva e quindi capaci in qualche modo di dannare la vita dell’uomo. Questa però è la versione più laicizzata, secolarizzata, di questo archetipo che, per come lo racconta Evola, è legato ad una sintesi di forze profonde della realtà che rappresentano un pericolo nella misura in cui appunto trattengono il principio che tende all’ascesi, all’alto, nella dimensione della materia, della natura e lo fanno anche attraverso le armi della seduzione. Quindi in questo senso questa demonìa utilizza proprio quest’arma per apparire seduttiva e quindi non ha elementi di negatività esplicita ma rappresenta un tipo di energia che nella visione spirituale evoliana può essere anche frequentata ma poi va convogliata in qualcosa di superiore.
Il discorso qui è sempre archetipico, quindi Evola non sta dicendo che tutte le donne hanno questo principio demonico, tutti gli uomini invece tendono alla solarità, ma è piuttosto come sempre un discorso diciamo di equilibri di energie e di potenze. Ma è un discorso evolutivo. Su questo posso aggiungere… Evola sarà molto esplicito più avanti, nello stesso capitolo, quando distinguendo sempre in termini dualistici fra femminile e maschile, preciserà, e leggo questo passaggio perché è molto importante, a spiegare come appunto si tratta sempre di un ragionamento sull’archetipo e non sul singolo caso dove ci sono donne in cui il principio spirituale e anagogico è molto più alto che negli uomini per esempio.
Qui Evola dirà che poi l’uomo, ogni uomo nel senso di maschio, possegga di fatto e in atto questo io, questo essere, è un’altra questione. Si può anzi dire senz’altro che praticamente la grandissima maggioranza degli uomini un tale principio è come se non lo avesse. Per questo è sbagliato rinvenire in queste componenti una misoginia evoliana o una sua affermazione di un primato dell’uomo sulla donna.
Se misoginia c’è stata proprio nell’Ottocento, perché se tu ci rifletti un attimo la nascita del vampiro femminile che prima non aveva una letteratura, nell’Ottocento nasce proprio sia la configurazione dell’isteria, quindi lo vedremo poi anche da un punto di vista di spiegazione proprio nell’immaginario, sia in questo discorso della donna che come vampiro, come colei che succhia, e sia questo discorso, ma ne abbiamo parlato in una delle puntate precedenti, sul discorso dell’adolescenza e della malattia, dell’ebefrenia, che aveva a che fare con l’energia maschile e femminile, ma soprattutto maschile dell’adolescente, che proprio nell’Ottocento è stato così demonizzato. Prima non c’è traccia, ci sono cinque generazioni che hanno influenzato la nostra sessualità come decadenza e quindi come eliminazione della parte più esoterica, della parte ermetica. Tutto nasce proprio alla fine del 1700, un po’ com’è che si finisce col discorso di non avere più una grande sensibilità nei confronti della magia, della cosiddetta magia delle arti liberali.
Con la fine del 1700, con la rivoluzione francese, tutto diventa positivismo, tutto diventa scienza, tutto diventa privo di ciò che aveva a che fare con l’energia sessuale, con il desiderio, e tutto diventa poi genitalità.
Questo direi in sintesi, ci sarebbe altro da dire, ma cerchiamo di essere un po’ sintetici riguardo al tema della demonìa femminile. Possiamo quindi forse passare un’introduzione all’altro tema della sezione che è il simbolismo dell’amplesso invertito.
Qui che cosa intende Evola? Ed è molto affascinante. Per le ragioni del simbolismo che abbiamo trattato, solitamente all’uomo, al maschio, è associato il principio dell’attività, mentre la donna, a quello della passività. Quindi nell’iconografia che esprime situazioni di carattere erotico-sessuale, l’uomo è la figura attiva, che quindi anche da un punto di vista iconografico di solito è collocato sopra la donna, in un termine di simbolismo del cielo che entra nella terra, di alto che entra nel basso, e così via.
Evola nota tuttavia come vi siano alcune eccezioni nell’iconografia tradizionale, in cui è invece la donna, in qualche modo, stando sopra l’uomo fisicamente, a dominarlo. Evola mostra come vi siano due principali letture possibili di questa simbologia, due letture che non si negano l’un l’altra ma che appartengono a diverse civiltà e a diverse fasi dell’ermeneutica spirituale. Vi è una prima lettura che Evola esemplifica con il riferimento alla Dea Egiziana Nut, la quale è rappresentata in questi termini e menzionata anche come la Dama del Cielo o la Signora del Cielo, come se il carattere uranico, solitamente maschile, venisse attribuito al femminile.
Anche nelle rappresentazioni iconografiche Nut è presentata, identificandosi con il cielo, come il principio attivo femminile che domina sul principio maschile Geb, concepito come Dio della Terra disteso sotto di lei, con soltanto la virilità eretta. Evola spiega che in questo contesto, questa iconografia simboleggia la preminenza posseduta dal principio femminile all’interno di una civiltà come quella egizia, che era nell’ipotesi evoliana, perlomeno in questa fase, ginecocraticamente orientata, cioè dominata dal principio femminile, che è una civiltà per così dire matriarcale. Ora, questa radice che non domina l’intera civiltà egizia, che per molti altri versi è una civiltà pensiamo alla figura del Faraone, alla centralità del Dio Sole, quindi fortemente invece virile, rappresenterebbe però una sorta di radice, di traccia di un mondo più antico conservatosi in seno alla civiltà egizia, per dirlo con più precisione.
Ma vi è anche spiega Evola una possibile lettura opposta che ritroviamo nel mondo indiano, in particolare nel rapporto fra Shiva e Shakti, quindi nell’immaginario tantrico, dove invece questo scambio non configura il messaggio, il simbolismo di una civiltà orientata in senso femminile, ma una specifica pratica di carattere esoterico, legato in qualche modo alla via della mano sinistra, quindi alla rottura dell’ordine tradizionale nella prospettiva di una ortoprassi, quindi di una prassi rituale sacrale capace di inverare il principio anche rompendo le leggi umane, nella quale la divinità Shiva esprime tutta la propria potenza, la propria virilità, attraverso il paradosso del fatto che rimane immobile, come se non agisce in senso proprio, e invece è il femminile Shakti che viene mossa, per così dire, da Shiva immobile. Quindi qui davvero vi è questa inversione della polarità all’interno del rito tantrico, nel quale, qui cito un passaggio di Evola, l’immobilità di Shiva esprime il carattere della vera virilità che non agisce in senso proprio, desta soltanto il moto in Prakriti nella natura, o Shakti, che è lei a muoversi, a sviluppare il dinamismo della creazione. Per usare una felice espressione di Titus Burkhardt, si tratta qui dell’attività dell’immutabile e della passività del dinamico.
Qui quindi lo scambio, potremmo dire l’inversione sessuale, non è come dire una norma comunitaria, ma è un’eccezione sfruttata ritualmente, in termini esoterici, per percorrere una via spirituale parallela e diretta al medesimo fine, che è sempre quello, come sappiamo, dell’innalzamento spirituale, quella che molti mistici hanno definito la deificazione. Sì, e poi c’è anche questa frase che è importante, no, a proposito dell’amplesso spesso che porta il nome del dio che possiede la madre, perché poi questo si ritrova anche nella mitologia Frigia, che poi diventerà una mitologia anche nell’ambito romano, di Cibele, che crea il suo paredro Attis, quindi il dio che possiede la madre, e in qualche modo, anche se non possiamo aprire questo capitolo perché poi ci potrebbero criticare in senso di buddista cattolico, però in realtà a volte è successo che è stata la pietà, la pietà di Michelangelo è stata vista anche in maniera diversa, cioè che non fosse la madre, ma fosse una giovane creatura che imbraccia il figlio, ma anche l’essere, per tornare al discorso dell’eros, in questo caso, perché esiste una parte a noi sconosciuta, diciamo così, esoterica anche nell’ambito cristiano, quindi anche in questo senso l’unione del maschile e del femminile siamo poi noi ad avere dato dei ruoli all’interno della civiltà, perché così serviva, ma se pensiamo appunto anche alla storia dei faraoni, avveniva anche attraverso proprio un discorso di incesto, di cui ancora non abbiamo parlato, però a livello sempre alto, cioè raffinato, nelle vie sottili, c’è anche questo, o no?
Infatti come dicevi tu, per finire su questo discorso dell’inversione è proprio il termine del Maithuna che è il rituale che viene fatto dall’uomo e la donna, tantrico, che è occasionale rispetto proprio al rituale ma poi in realtà il cielo è sempre il maschile in questo senso la donna è sempre la terra però c’è la possibilità che proprio a livello alto raffinato sottile c’è la possibilità che i propri ruoli si possono scambiare su questo punto di vista. Il Maithuna, giusto per precisare per chi magari il pubblico non lo sappia, si riferisce all’unione sessuale questo significa che viene effettivamente praticata concretamente in alcuni rituali tantrici ma ha sempre un valore di carattere esoterico perché è funzionale al risveglio della Kundalini.
Infatti nel Maithuna si beve il vino, si mangia la carne, si fa tutto ciò che normalmente chi segue questo genere di rituali, di usanze, non fa. Fa esattamente quello che normalmente non viene fatto, è una forma di trasgressione, chiamiamola così. Possiamo andare penso anche al prossimo paragrafo.
Allora sì, che ci ricollega diciamo a una sorta “di convitato di pietra”, come veniva l’espressione della nostra discussione, che forse non è stato esplicitamente citato ma era il centro di tutti i discorsi che abbiamo oggi fatto, che è il fallo maschile, perché il capitolo, il paragrafo successivo è dedicato da Evola alla simbologia del fallo e del mestruo. Qui passiamo ad un altro livello analitico ancora, legato proprio allo studio della simbologia di queste figure, che hanno ovviamente un ruolo molto forte all’interno della vita sessuale degli individui. Evola analizza in maniera molto dotta e con il consueto metodo comparatistico che gli appartiene, il simbolismo del fallo legato alla verticalità spirituale.
Il fallo è rappresentato sempre come eretto perché rappresenta simbolicamente l’asse cosmico, il pilastro del mondo che collega la Terra al Cielo. Evola nota inoltre, oltre che puntualizzare questo simbolismo, come nelle civiltà premoderne assai diffuso fosse un vero e proprio culto fallico, in cui questo simbolo è stato spesso usato nell’iconografia, è diventato oggetto di pratiche magiche, è entrato poi in forma un po’ più popolare all’interno del folclore e attraversa in maniera trasversale l’Oriente e l’Occidente, dal mondo romano a quello indiano, passando per quello egiziano e greco. Questi particolari ambiti mi pare citati da Evola a tal proposito.
Sì, ma per esempio si sono trovati tantissimi amuleti che sono conservati a Napoli, al Museo Mann, nella saletta quella famosa, dove le donne non potevano entrare fino agli anni 30-40, forse fino agli anni 60, dove ci sono tutta questa serie di amuleti che vengono chiamati, se non sbaglio, fascinazioni, che è un termine che ci interessa perché ritorna di nuovo un discorso di fascinazione malefiche, c’è scritto qui, per distruggere ogni fascinazione malefica. In realtà non è questo a cui servivano, ma in realtà servivano per attivare il discorso dell’Eros. Per fare un esempio noto a tutti, secondo molti antropologi, il celebre cornetto napoletano richiamerebbe proprio il fallo di Priapo, che era il dio greco e romano della prosperità, rappresentato sempre iconograficamente con un enorme fallo, e sarebbe appunto rimasto in questa forma più accettabile all’interno della forma del cornetto.
Certo, assolutamente. Tra l’altro è un corpo di ambiguità, è un corno esotericamente, ma esotericamente simbolizzato. Il fatto di toccarlo e di toccarsi da parte dell’uomo normalmente, come discorso apotropaico, il termine esatto, per sconfiggere un maleficio che possa arrivare da questo punto di vista, in realtà poi l’utilizzo anche del toccarsi del dito medio su delle zone precise ha un’origine indiana, perché lì proprio c’è uno dei meridiani, uno dei canali.
Quindi non è solo apotropaico a prescindere, perché poi il gesto apotropaico in sé non avrebbe nessun significato se non fosse legato a un gesto di protezione. Quindi da questo punto di vista, fascinazione contro i malefici ma in realtà nello stesso tempo anche una forma di proposito, come per dire “io sono capace di, sono in questa condizione di”. Si va a vedere sempre l’effetto, come dici tu, esoterico, cioè l’effetto che può essere accettato, che può essere condiviso, mentre l’altro, cioè quello che deve essere nascosto, è un effetto più intimo.
In ultima istanza il fallo, per tutto quello che abbiamo detto, è un simbolo di potenza, quindi è un simbolo profondamente attivo e generatore, quindi non è un simbolo reattivo. Poi essendo una forza, un’energia, questa può essere utilizzata anche in termini difensivi e reattivi, ma primariamente è simbolo appunto di generazione, creazione, è quella forza che dà forma e quindi informa il mondo. Infatti tu continui a dire che è stato nel periodo della decadenza che il fallus divenne simbolo della lussuria e riveste un carattere osceno nel senso moderno.
Io sono convinta che questo è un discorso molto più recente, però vabbè, è una mia… Ecco, il simbolismo del mestruo l’avevo posto in dialogo con quello del fallo perché è un po’ la controparte, nel senso che mentre il fallo aveva questa funzione essenzialmente attiva e verticale, il mestruo è sempre stato inteso nelle civiltà premoderne come un’energia misteriosa, in sé né buona né cattiva, ma incapace di risvegliare delle forze demoniche. In questo senso ci possiamo ricollegare a quanto abbiamo detto sul tema della demonìa del femminile. Tutti i riti di lustrazione, di purificazione che venivano prescritti alle donne durante il periodo delle mestruazioni erano legate al fatto che prima che si affermassero pregiudizi morali o una sorta di bigottismo molto superficiale, era legato al fatto che si riconosceva alla donna in quel periodo una particolare energia, un’energia misteriosa, perturbante, che poteva anche essere usata costruttivamente in alcune pratiche spirituali.
Evola cita ad esempio il ruolo della magia negli incantamenti, nei filtri d’amore, quindi in connessione con la stregoneria e che quindi la religione ufficiale o più in generale l’assetto spirituale di queste civiltà tradizionali cercava di arginare attraverso riti che purificassero questa forza e quindi in qualche modo la convertissero in una realizzazione positiva. Evola mostra come questa ambivalenza sia una forza pericolosa di cui però si poteva anche fare un uso positivo. Cita ad esempio, fra i moltissimi casi, ma mi limito a questo, un autore romano Plinio che nella Naturalis Historia, cito Evola che poteva parlare di influenze non solo malefiche ma anche positive attribuite ai mestruo, secondo un potere efficace sugli stessi elementi e fenomeni della natura.
Viene ad esempio menzionato il loro uso terapeutico contro il morbus comitalis e l’epilessia. Questa dimensione energetica in cui vi è una dialettica fra l’aspetto negativo del demonico come forza che si oppone al simbolismo fallico e quindi tende a spingere l’uomo verso il basso, ma anche la possibilità che questa forza, se gestita, se ritualizzata, possa diventare potenza, viene attribuita appunto al simbolismo del mestruo. Ma di contro poi, qui leggo che a Roma le vergini in funzione di vestali sospendevano tale funzione nel periodo mestruale.
Fra i Medi, i Battriani e i Parsi, le donne in mestruo dovevano tenersi lontane dagli elementi sacri, specie dal fuoco. Fra i greci e ortodossi era loro proibito di comunicarsi e di baciare in chiesa le icone, così come in certe parti del Giappone viene loro severamente interdetto di visitare i templi e di pregare gli dei e gli spiriti buoni. In certi casi veniva perfino contemplata la pena di morte per chi si congiungesse carnalmente con una donna in mestruo. E per lo Zoroastrismo ciò costituiva un peccato per il quale non viene remissione. Diciamo che Plinio era controcorrente.
Sì, sono più in termini numerici i casi appunto di attribuzione di un valore negativo. Ti racconto una cosa, tanti anni fa per caso sono andata a Siracusa e avevano scoperto da poco un mikvè. È l’unico mikvè ebraico in Europa, Siracusa.
Io avevo le mestruazioni, quindi stiamo parlando di epoche remote, e ho fatto il bagno. Mi dicevano come le donne con il ciclo non potevano entrare nel mikvè durante il ciclo perché erano impure, erano considerate impure. Perché secondo te questo stato… e qui finiamo, finiamo la parola di oggi, però era importante questo discorso della purezza e invece anche l’utilizzo.
In qualche modo l’Evola è come se stesse dicendo c’è una forma sacra della sacralità nel mestruo, cioè lui dice questo, invece però poi tutte quante le religioni, io penso, forse maschili, non pensi che siano poi fondamentalmente patriarcali. Perché questo? Mi pare che il cuore di quello che Evola stia dicendo è che, diciamo, questo fenomeno che noi conosciamo da un punto di vista biologico scientifico, in quanto legato alla sessualità, è stato in contesto tradizionale anche esso riconosciuto come portatore di potenze sottili e di un forte simbolismo. Perché in una prospettiva tradizionale nessun fenomeno naturale è esente da una lettura spirituale.
Materiale e spirituale si danno sempre simultaneamente, Evola parla spesso di trascendenza immanente a tal proposito. E quindi così come la pratica sessuale rispecchia appunto la metafisica della polarità fra maschile e femminile, così come una serie di pratiche specifiche, come anche specifiche posizioni erotiche, abbiamo visto il tema dell’amplesso invertito, possono avere un riflesso metafisico così inevitabile che per Evola, sulla base dei suoi studi, anche questa caratteristica della biologia femminile in realtà abbia una controparte esoterico sottile. Ed è una controparte che richiede un momento di purificazione perché viene vista come una rottura dell’ordine tradizionale della natura.
Credo che questo abbia una corrispondenza molto concreta. Normalmente appunto la donna è in grado di avere rapporti sessuali e soprattutto rimanere incinta e procreare e questo momento, che ha un riflesso molto visibile, viene inteso come una rottura del suo stato normale. E quindi l’ordine simbolico richiede una sorta di compensazione, quindi una serie di pratiche spirituali.
Quello che però Evola sembra dire è che non vi è nulla per cui per questo la donna debba essere stigmatizzata. Anche questo fa parte di una delle manifestazioni del principio femminile e mostra un’energia che è ulteriormente legata a questa dimensione enigmatica, perturbante, misteriosa, che quindi può essere o purificata e quindi in qualche modo catarticamente superata verso un ritorno ad una spiritualità normale, oppure, come in alcuni casi che citava Evola, può essere anche ritualizzata e diventare essa stessa portatrice di forze magiche, che però, come tutto nella società tradizionale, devono essere codificate in dei rituali specifici. Diciamo che il fallo e il mestruo in questa ricostruzione sono sempre delle figure che vanno lette all’interno dell’archetipo rispettivamente maschile-femminile.
Quindi torniamo sempre a questa generale riflessione sulla verticalità analogica del principio maschile, invece una dimensione chtonio-tellurica di quello femminile, di cui però rappresentano, come abbiamo visto, dei casi specifici. Io volevo aggiungere solo una cosa che Evola non ha contemplato. Quando le donne si riunivano nei sabba, spesso e volentieri, lo facevano durante il ciclo mestruale, che avevano tutte insieme, riuscivano ad avere questa sintonizzazione che si può creare in alcuni ambienti di lavoro.
È stato dimostrato che le donne hanno il ciclo tutti insieme, anche oggi, che è una cosa abbastanza rara da questo punto di vista. Per loro rappresentava un momento di pausa dall’uomo, in questo senso veniva considerata impura, veniva messa da parte perché non si potevano avere rapporti sessuali, allora in questo caso la donna si riuniva e faceva dei rituali nel bosco insieme alle altre donne. Quindi è una sorta di pausa anche dall’uomo, considera che stiamo parlando di rituali di qualche migliaio di anni fa, in cui la donna non era, come si suol dire, così avulsa dalla sessualità, ma spesso era anche costretta ad avere rapporti anche con più uomini del villaggio, della comunità.
Quindi quello era un momento in cui aveva la possibilità di lavorare su se stessa e di utilizzare il mestruo, cosa che si faceva peraltro, che poi è stato riportato anche dalle wicca, di utilizzare il sangue che veniva versato per la terra. C’è una sorta di, come si dice, non di ingravidamento, ma di rinnovamento della terra attraverso il sangue. Interessante, questo completa ecco il discorso che stavamo facendo, quindi grazie per l’apporto.