Rosa di cui non sciolsi alcun mistero. Pura, d’aura purpurea seppur circondata da paura. Non temere, lo spirito che in me soffiasti in notti insonni, immemori ed inenarrabili è qui per proteggerti, custodirti, dedicarti ogni respiro poiché solo a te appartengo. Mi trattengo mentre ti sostengo sospinto d’intensi intenti, coronati d’incensi, condivisi solo da chi ha compreso ma che poi è svanito, dissolto nella Conoscenza. Al centro d’una antica tela, un tempo, ti dipinsi e piansi. Pensai d’averti persa, perla introversa, tra i flutti di questa farsa.
Era tempo d’inganni e d’incanti e da lì a venire cercai di disegnare la tua anima e portarla al di sopra degli intrecci, degli intralci, degli stracci, conservandoti per sempre tra i miei matracci. Rosa, che non favella se non attraverso le proprie spine ed il suo raro schiudersi, raccontami di quando le gocce del mio sangue potranno un giorno miscelarsi al sale delle stille di dolore, per raggiungere l’alchemica Purezza del tuo Profumo. Attardandomi sui tuoi petali scorsi il Mistero del Creato e da esso appresi che sei Infinito calice di Divina Bellezza. Osservandoti con maggiore tensione mercuriale mi resi conto dello specchiarmi in te al punto tale da identificare lo stesso mio cuore. Non nelle forme s’intenda, non nel colore, quanto piuttosto nell’intimo candore e nella volontà d’indagare ed indugiare.
Qualcosa in te muore, e non te ne accorgi, ogni qual volta lasci che la vita scompagini, con il suo violento ondeggiare, i tuoi petali ed i tuoi capelli, disperdendoli nel vento. Rosa mai obliata, con queste rime tratteggio l’eco della mia voce che ancora nei tramonti sussurra all’argenteo astro tutto l’Amore Divino di cui è ricolmo il mio cuore. Ne sento gravare il peso ogni qual volta non riesco ad essere all’altezza del tuo dolore. Carezzo i tuoi petali traboccanti di rugiada. Essa si confonde alle lacrime d’argento che cadono dalla falce lunare che, nel mondo onirico cui tu appartieni, rappresenta i nostri occhi. Da essi osservo un alacre giardiniere porti al Centro come vestigia d’ un passato che ci vede uniti da un sottile filo rosso.
Amore che muore d’amaro, sono insetto che sugge il tuo nettare, delicato ronzio nella pace dell’Essenza. Sei la colonna spezzata che ricostruisco e distruggo. Al centro del tuo essere converge il mio battito ed all’unisono il nostro vibrare crea il tessuto della realtà in cui siamo immersi. Dunque, cosa è il sogno se non una matrice. Le nebbie del tempo non ti hanno intaccata anche se appari adesso maggiormente diafana. Motivo per cui trascorro il tempo a riprendere i tuoi contorni. Come un amanuense i cui pennelli sono, a volte le parole altre volte le dita. Adorante, tutto il resto appare involucro e simulacro. La mia spada ti appartiene, la mia armatura tu possiedi, il mio cuore è saturo della tua immagine. Porto per fregio ciascuna delle parole che nel tempo ho delicatamente scritto sull’estensione della tua essenza.
Solo nel buio ci raccontammo in silenzio d’avere bisogno l’uno dell’altra, seguitando nel mistero dei nostri sentimenti ricercandoci sotto forma di tracce, ombre e vapori che la malefica luce nullifica. Ed ancora una volta ci incontreremo, ci ritroveremo, ci annoderemo per poi svanire l’uno dentro l’altro alla ricerca dell’altrui insondabile assenza. Dove ti trovi, verso dove punti le tue attese, verso chi sono rivolte le tue grazie. In quale rivolo d’oscurità hai riposto la mia speranza di leggerti, legarti, averti tra le carte. T’invoco in ogni equivoco onirico e tu appari. E parli. Finalmente parli. E dici: “…Rosa da rosa, pietra da pietra…tu sei pietra dentro le parole.” Mi chiederò negli anni a venire cosa tu abbia voluto dire. Seguiti mostrandomi una piazza inesistente al centro d’una villa oscura a cui si accede solo attraverso uno stretto cancello avvolto dal fogliame. Vetusti lumi accolgono falene e fate ed una strada prosegue, inerpicandosi verso le tue labbra.
Ebbro di tenebra m’abbevero ad una fontana nella cui acqua nivei e cinerei petali galleggiano donandole un sapore d’estasi che ricorda l’incolmabile distanza tra le tue mani ed il mio cuore. E mi chiedo se un serpente potrà mai stringere tra le sue spire la rosa cui anela dai tempi in cui le trame delle Parche svelavano semplici complotti. La bussola indica l’indaco e la fine dell’incubo, il pendolo che porto al collo oscilla indicando l’ultima scintilla che si distacca dalle nostre iridi rinsaldando il nostro vincolo, minuscolo pungolo che mi chiude in un angolo. Altri arriveranno, aspetteranno, rimarranno ma alla fine anche loro ti serviranno e verranno in molti e si abbevereranno della tua acqua mistica, fintanto che non svanirai nella loro mestica. Diciotto sono i gradi che ci separano, e nell’attesa consumo unghie, palpebre ed inchiostro alla ricerca di una verità che mi porta in luoghi inesplorati che la tua Meraviglia ha già permeato ed in questo eterno mi immergo. La struttura si modifica, apis mellifera.